Giuseppe Sala, sindaco di Milano, ha dichiarato: “Una città come Milano raccoglie persone e problematiche contemporanee da tutto il mondo, ed è il mondo ad essere diventato più difficile. Io ci sto a prendermi critiche e responsabilità come deve fare chiunque faccia politica. Ma una cosa non la accetto: che si dica che non ho a cuore il tema della sicurezza, che ne sono inconsapevole o che sostenga che vada tutto bene.”
Sala dopo il primo mandato sull’onda di Expo, ha dovuto fare i conti con la pandemia da Covid-19. “Milano non si ferma”, ricordate la sua affermazione mentre prendeva un aperitivo sul Naviglio con Zingaretti, allora segretario del PD? Sala, in questo secondo mandato, non ha potuto eludere la questione della sicurezza, su cui tanti speculano. Ha cercato di relativizzare la questione legandola a una condizione che caratterizza tutte le grandi città, ma la concretezza delle cifre non lo permette: Milano, per il secondo anno consecutivo, è in testa alla classifica del Sole 24 Ore sull’Indice della criminalità nelle province italiane, con 6.991 reati denunciati ogni 100.000 abitanti nel 2022, in aumento rispetto al 2021. Le denunce crescono del 3,5% anche nel primo semestre del 2023 rispetto all’anno precedente. Nel 2023, le violenze sessuali sono state 587, rispetto alle 477 dell’anno precedente; le rapine sono state 4.123 (2.713 in pubblica via), mentre nel 2022 erano 3.346 (di cui 2.160 in strada). I danneggiamenti sono passati dai 27.710 del 2022 ai 29.720 del 2023, e le percosse sono aumentate da 1.165 a 1.229 in un anno.
Non bastasse, dalla Ferragni al pilota della Ferrari Sainz, a Briatore, anche personaggi da Zona a Traffico Limitato (ZTL) hanno lamentato di aver subito furti o che la cosa sia accaduta a loro conoscenti. Da ultimo, Carlo Verdone, alla stazione di Milano prima di prendere l’ultimo treno per Roma, ha dichiarato: “C’erano due che si stavano massacrando a bottigliate con le ferite. Uno improvvisamente si è presentato con il collo di una bottiglia e mi urlava cose in una lingua che non capivo: ho dovuto correre su per le scale e andare velocemente a prendere il treno, perché questo era ubriaco e mi correva dietro”. “Alla stazione di Milano mi sono messo paura, più che a Roma, che è tutto dire!”, ha concluso in modo laconico ma non campanilistico. Per il sindaco: “Non è vero che Milano sia la città più pericolosa che c’è in Italia, ma non è nemmeno vero che non ci sia il problema. Tant’è che con i pochi soldi che abbiamo stiamo assumendo soprattutto vigili. Poi ho chiesto una mano a un esperto come il prefetto Franco Gabrielli, già capo della polizia e sottosegretario con delega ai servizi di sicurezza. Quindi il problema esiste. E deriva, secondo me, da una serie di questioni. Primo, questa è una città ricca, quindi attira i malintenzionati. Poi c’è un palese distacco tra la giustizia e la pena e la gestione della sicurezza: oggi chi delinque rischia troppo poco. In passato la polizia locale è stata caratterizzata da un’eccessiva specializzazione. Non so se sia stata una scelta così giusta. Quello che serve è una maggiore e più visibile presenza sul territorio.” Così nel Municipio 1 ci sono condomìni che prendono i vigilanti. Per il sindaco: “Non è la soluzione ideale. Ma faccio una domanda a mia volta, ovvero perché nella sanità e nell’assistenza il privato può intervenire? È chiaro che a volte il privato interviene per coprire le debolezze del pubblico, che ci piaccia o meno.”
Alla presentazione del piano Sicurezza a Milano, Sala e Gabrielli hanno annunciato: “Vigili di prossimità nei quartieri e un aumento delle pattuglie della Polizia locale durante le ore serali e notturne, oltre a una collaborazione con i City Angels per zone delicate come quelle attorno alla Stazione Centrale”. Il sindaco ha dichiarato: “Che ci sia una campagna mediatica contro il sindaco ci sta. Ma chi, per calcolo politico, attacca Milano fa un danno ai tanti che grazie all’attrattività della città lavorano o comunque costruiscono le basi per la propria vita”, e ha citato il numero degli omicidi volontari avvenuti in città dal 1987 al 15 novembre 2023: nel 1987 erano stati 15 gli omicidi, poi hanno toccato punte fino a 43 nel 1990 e nel 1992. Quest’anno sono appena 8. Fin qui si tratta di marketing di comunicazione, eventualmente contraddetto dai numeri reali, ma la questione della qualità e della tenuta del Patto Civile richiede un approccio sistemico per definire una strategia all’altezza di un nodo metropolitano europeo quale è Milano. Anche se occorre notare che la nomina dell’ex capo della polizia Franco Gabrielli a nuovo delegato del sindaco per la sicurezza e la coesione sociale sembra una messa in mora di assessori quali Granelli e Bertolè.
Per avere un quadro sociale di riferimento articolato su come gli italiani stanno vivendo le condizioni glocali in questi primi vent’anni del secolo, è di grande utilità e concretezza il 57° rapporto del CENSIS sulla Situazione Sociale del Paese. In sintesi, rispetto all’altro tema di speculazione oltre a quello della sicurezza, Milano deve fare i conti con un mercato del lavoro che non può fare a meno degli stranieri. Nei prossimi tre anni saranno ammessi in Italia attraverso il “Decreto flussi” 452.000 cittadini stranieri, un numero molto più alto rispetto al passato. I lavoratori stranieri salgono a 2.374.000, il 10,3% del totale degli occupati. 2.068.000, l’87,1% sono lavoratori dipendenti. Il 29,9% svolge lavori per cui non è necessaria alcuna qualifica professionale, contro il 9,5% degli occupati italiani, l’8,2% è impiegato in professioni tecniche e qualificate, contro il 37,3% degli italiani. Il 48,2% degli stranieri che lavorano è in possesso al massimo della licenza media (tra gli italiani la quota è del 27,4%), mentre l’11,5% è in possesso di un titolo terziario (tra gli italiani la quota sale al 25,8%). E il 61,4% degli stranieri laureati svolge lavori di livello più basso rispetto al titolo conseguito. Sono gli stessi cittadini italiani che dichiarano per il 72,8% del totale che i migranti svolgono lavori necessari che gli italiani non vogliono fare, con percentuali che arrivano al 76,0% nelle regioni del Sud.
Cittadini stranieri indispensabili per il mercato del lavoro, ma necessari per ridare vitalità demografica. Sono 5.050.000, l’8,6% della popolazione, cioè 400.000, il 9,5% in più rispetto a dieci anni fa. Il 45,6% degli stranieri residenti (circa 2,3 milioni) ha meno di 35 anni (tra questi, il 20,8% è un minore e il 24,8% è un giovane di 18-34 anni). Solo il 5,4% è ultrasessantacinquenne. Tra gli italiani, invece, gli under 35 sono circa 17 milioni, pari al 31,7% del totale. Tra questi, il 14,9% ha meno di 18 anni e il 16,8% è un maggiorenne con meno di 35 anni. Tra le donne straniere, il 55,6% è in età feconda, tra 15 e 49 anni, mentre tra le italiane la percentuale scende al 37,0%. L’età media delle madri al parto è di 29,7 anni per le straniere e di 32,8 anni per le italiane. Il numero medio di figli per donna per le italiane è di 1,2, per le straniere è di 1,9. Gli stranieri danno un significativo contributo al nostro bilancio demografico. Nel 2022 sono nati più di 53.000 figli da entrambi i genitori stranieri, il 13,5% dei nati, 30.000 da almeno un genitore straniero. Senza di loro le nascite sarebbero solo 311.000. La questione dei residenti stranieri si combina con l’altro argomento del marketing elettorale della criminalità nelle grandi aree urbane. Il 20,8% degli italiani si sente insicuro, percentuale che sale al 35,2% nelle città con più di 500.000 abitanti. Il 33,6% di chi abita nelle città più grandi ritiene che negli ultimi cinque anni la propria zona sia diventata più pericolosa, il 17,2% di chi vive in città con al massimo 30.000 abitanti. Nel 2022 nelle 14 aree metropolitane italiane, dove vive il 36,2% della popolazione, sono stati denunciati 1.066.975 reati, il 47,3% del totale: sale al 61,7% per le rapine e al 53,7% per i furti, un aumento del 9,8% nell’ultimo anno mentre la media nazionale è +7,2%. Il 26,3% dei reati commessi in Italia, un quarto, avviene nelle tre aree metropolitane di Roma, Milano e Napoli, dove vive complessivamente il 17,7% della popolazione. In aumento i reati che da allarme sociale: una rapina su quattro (il 38,9% del totale) avviene in una delle tre maggiori città italiane. A Roma sono diminuite, aumentate del 23,2% a Milano. A Milano, Roma e Napoli, si compie il 32,7% del totale dei furti registrati in Italia, il 49,6% di scippi e borseggi.
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Prendiamo altri due dati sociali che si combinano con la questione sicurezza e immigrazione: anziani e giovani. Gli anziani costituiscono il 24,1% della popolazione, saliranno di 4,6 milioni nel 2050, il 34,5% della popolazione. Anziani sempre più senza figli e sempre più soli. Le coppie con figli diminuiranno e nel 2040 costituiranno solo il 25,8%, e le famiglie unipersonali saranno 9,7 milioni, il 37,0%. Quelle costituite da anziani diventeranno 5,6 milioni, il 60%. È ineludibile la questione del bisogno assistenziale legato agli effetti epidemiologici dell’invecchiamento demografico. I giovani tra i 18 e i 34 anni sono 10 milioni, il 17,5%, nel 2003 erano 13 milioni, il 23,0%: in vent’anni meno 3 milioni. Nel 2050 i 18-34enni saranno 8 milioni, il 15,2%.
I giovani contano poco: solo 860, l’11,1% dei 7.786 sindaci in carica arriva a 40 anni. Il CENSIS registra un dissenso generazionale senza conflitto, un riflesso evidente nelle grandi città è quello dei branchi/bande trapper delle periferie, dove quello musicale diventa un codice autoreferenziale.
Gli italiani vivono un profondo senso di impotenza: il 60,8%, il 65,3% tra i giovani, prova una grande insicurezza per i tanti rischi inattesi. Delusi dalla globalizzazione: per il 69,3%, ha portato all’Italia più danni che benefici. Rassegnati: l’80,1%, l’84,1% tra i giovani, è convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino. Il 56,0%, il 61,4% tra i giovani, è convinto di contare poco nella società, con un disarmo identitario e politico.
Il quadro del sentimento sociale diffuso si completa con le aspettative esistenziali e con quelle di geopolitica globale. L’84,0% degli italiani è impaurito dal clima ‘impazzito’; il 73,4% teme che i problemi irrisolti provocheranno una crisi economica e sociale molto grave con povertà diffusa e violenza; per il 73,0%, gli sconvolgimenti globali sottoporranno l’Italia alla pressione di flussi migratori sempre più intensi, e non saremo in grado di gestire l’arrivo di milioni di persone in fuga dalle guerre o per effetto del cambiamento climatico; il 53,1% ha paura che il colossale debito pubblico provocherà il collasso finanziario dello Stato.
Il ritorno della guerra ha suscitato nuovi allarmi: il 59,9% degli italiani ha paura che scoppierà un conflitto mondiale che coinvolgerà anche l’Italia; per il 59,2%, il nostro Paese non è in grado di proteggersi da attacchi terroristici di stampo jihadista; il 49,9% è convinto che l’Italia non sarebbe capace di difendersi militarmente se aggredita da un Paese nemico; per il 38,2%, nella società sta crescendo l’avversione verso gli ebrei.
Anche il welfare del futuro instilla nell’immaginario collettivo grandi preoccupazioni: il 73,8% degli italiani ha paura che negli anni a venire non ci sarà un numero sufficiente di lavoratori per pagare le pensioni, e il 69,2% pensa che non tutti potranno curarsi perché la sanità pubblica non riuscirà a garantire prestazioni adeguate.
Si tratta di un quadro apocalittico che richiede una statura politica della classe dirigente milanese all’altezza dei Borromeo durante la peste o dei sindaci socialisti del secondo dopoguerra: alla competizione sovranista e securitaria interna alla maggioranza politica espressa dagli italiani non si può rispondere con la mera funzione supina alle scelte e agli interessi dei fondi immobiliari internazionali.
Questi ultimi sembrano gli unici con una visione metropolitana, dagli scali Ex FS, agli stadi e immobili annessi, ai mega centri commerciali: chiaramente con l’attenzione alla speculazione finanziaria, nominale o meno, e indifferenti alla pianificazione di un sistema territoriale qualitativo per il vivere sociale nella sostenibilità.
Quindi, invece di rassicurazioni simboliche suggerite da qualche spin doctor, dopo ‘Milano non si ferma’, siamo a ‘Milano esempio per la sicurezza’; sarebbe necessaria la convocazione degli Stati Generali Metropolitani, con i 133 comuni, la filiera istruzione-università-ricerca, il mondo dell’impresa, dell’agricoltura, del Terzi Settore. Ciò per definire un’azione comune affinché la Città Metropolitana abbia le prerogative democratiche e le competenze previste dal Titolo Quinto della Costituzione.
Insieme a questa azione comune, gli Stati Generali possono condividere una strategia urbanistica e dei servizi per il breve e medio periodo, improntata alla sostenibilità sociale e ambientale, insieme alla inclusione di giovani e immigrati grazie a politiche di partecipazione responsabilizzante. Cittadini protagonisti in luogo dei sonnambuli preconizzati dal CENSIS.