Le identità politiche si basano storicamente e sostanzialmente sia su dinamiche di affermazione di valori e credenze comuni, quindi sulla definizione positiva di un “noi”, sia sulla identificazione netta e chiara di un soggetto, o più soggetti, che sono profondamente diversi da quel “noi”, trattandosi, quindi, di una definizione in negativo di un “loro”. Questa dicotomia e la relativa progressiva definizione dei suoi confini e delle sue forme, rappresenta la struttura portante delle narrazioni, anche controverse, che compongono e occupano lo spazio pubblico: noi-loro, eroe-nemico. All’interno di un sistema politico democratico, le narrazioni volte a coinvolgere i cittadini e ad ottimizzare il consenso elettorale tendono ad estremizzare queste opposizioni, attribuendo al naturale processo di differenziazione identitaria un valore non soltanto definitorio dei limiti del “noi”, ma anche accusatorio della natura e del pericolo insito in quel “loro” che è descritto più come nemico che come legittimo avversario politico.
Nel corso degli ultimi anni alcune forze politiche con identità e caratteri populisti e sovranisti, hanno da un lato, ristretto e ridotto quel “noi” nel quale si identificano; dall’altro, hanno aumentato il numero di quei “loro” che interpretano come pericolosi nemici e con i quali si relazionano in termini altamente conflittuali: gli immigrati, le istituzioni europee, i poteri forti, ma anche gli intellettuali, i professoroni e così via.
La narrazione costruita su questo elemento di forte conflittualità è caratterizzata da toni sempre più violenti, atteggiamenti di radicale disconoscimento dell’altro, tendenza ad una estremizzazione della semplificazione della complessità contemporanea, sostituzione del buon senso con il senso comune, che non è necessariamente sempre buono. Contesti narrativi e comunicativi che esasperano la definizione del nemico trasformandolo nell’unico elemento di riconoscimento reciproco all’interno di una parte politica. La forza trascinate e discutibile del populismo è proprio in questa capacità di individuare alcuni nemici e veicolare contro di essi la frustrazione e l’insicurezza diffuse di tempi incerti. Fin qui il nemico è stato descritto e raccontato come tanto distante fisicamente e idealmente da “noi”, da trasformarsi in oggetto e non più soggetto, si pensi agli immigrati, così come ad altre popolazione europee interpretate come nemiche dell’Italia. I soggetti istituzionali sono per loro stessa natura percepiti come distanti e indifferenti ai bisogni concreti di individui e comunità, in questo caso la narrazione populista non ha fatto altro che rafforzare questa percezione lanciando su questo genere di nemico le violente accuse di un attacco quotidiano.
Il tempo sospeso che viviamo in questo periodo a causa dell’emergenza sanitaria ha trasformato piuttosto rapidamente la natura e i limiti del “noi”. Il nemico non può più essere identificato in altri “loro” perché improvvisamente contro un nemico non umano il “noi” è diventato assoluto e generale. Il nemico reale e narrativo della comunicazione pubblica è oggi universalmente riconosciuto da un “noi” che si sovrappone al genere umano, depotenziando tutte quelle narrazioni politiche che avevano fatto della guerra contro l’altro, nemico e pericoloso, la loro forza attrattiva e la loro unica strategia comunicativa. Il Coronavirus sta modificando la natura di alcune forze politiche, privandole del loro potere suggestivo e condizionante che raffigura soltanto lo scontro e l’avversione per alcuni, identificati come nemici assoluti. D’altra parte le persone tendono a recuperare un livello di intollerabilità rispetto a posizioni violente e aggressive, espresse anche solo attraverso il linguaggio e nei modi di relazionarsi all’interno dello spazio pubblico.
Forse dopo questa emergenza non riusciremo comunque a riscoprire il senso vero e profondo della comunità che non è chiusura e esclusione, ma al contrario è apertura, inclusione e riconoscimento dell’altro. Ma certamente la sensibilità collettiva rispetto ad alcuni temi sarà tanto aumentata da costringere le forze politiche più aggressive e intolleranti a rimodellare non solo il proprio stile comunicativo, ma la struttura stessa delle narrazioni con le quali costruiscono e rafforzano la relazione di fiducia con i propri simpatizzanti e elettori.