Il “blocco navale” impossibile della Meloni? Ne chieda il conto a Salvini

Di tanto in tanto, soprattutto nel periodo estivo, si sente invocare il blocco navale, pseudosoluzione all’immigrazione clandestina che, da quando Matteo Salvini è tornato al governo, ha ormai soppiantato quella, altrettanto surreale, dei porti chiusi.

Ai tanti, ultima in ordine di tempo il ministro Lamorgese, che hanno fatto notare come il blocco navale sia un atto di guerra, la leader di FDI Giorgia Meloni ha sempre risposto con veemenza dicendo che la “proposta” di Fratelli di Italia non prevede nessun atto di guerra, accusando chi lo afferma di non averla letta. Cerchiamo di fare chiarezza nel merito.

“Blocco navale” è un’espressione che ha un preciso e consolidato significato sia in termini di strategia militare sia in termini giuridici. In termini strategici il blocco navale è un’azione militare che si applica contro un singolo porto, o tutti i porti di una nazione, per ostacolare il commercio marittimo impedendo al naviglio di entrare/uscire dal porto. Semplificando, possiamo dire che si tratta dell’equivalente marittimo dell’assedio. Già in questi termini è evidente come questa strategia non sia utile in alcun modo al contrasto dell’immigrazione clandestina. Per altro bisogna aggiungere che, come è noto, le partenze degli immigrati avvengono dalle spiagge e non certo dai porti, che sono sempre controllati dalle autorità governative e non dai trafficanti. Anche senza possedere nozioni spinte di tattica navale, è facile immaginare come il blocco di uno o più porti sia un’operazione complessa e dispendiosa, in termini di risorse e mezzi. Applicare quel blocco su tutta la litoranea diventa pertanto un’impresa da storia fantasy.

Passando ad esaminare l’aspetto giuridico, il blocco navale è un atto ostile, senza se e senza ma. È scritto in maniera esplicita nell’articolo 42 dello statuto delle Nazioni Unite, ovvero la massima fonte del diritto internazionale. La cosa paradossale, parlando di contrasto all’immigrazione, è che lo Stato che impone il blocco navale ha poi l’obbligo di “catturare” (termine tecnico-giuridico che consiste in una particolare forma di sequestro internazionale) tutte le unità che tentano di forzare il blocco dichiarato. In altre parole, ammesso e non concesso che si dichiarasse un blocco navale che vada dall’Algeria alla Siria, ciò comporterebbe l’obbligo giuridico di catturare, e quindi di portare in Italia, ogni imbarcazione di migranti del Mediterraneo visto che, verosimilmente, ciascuna di quelle imbarcazioni tenterà di forzare il blocco. Le imbarcazioni oggetto di cattura, dette prede, dovrebbero poi essere sottoposte alla giurisdizione di un tribunale speciale appositamente istituito, appunto il “tribunale delle prede”, e se effettivamente accertato il tentativo di violazione del blocco il natante verrebbe venduto all’asta mentre i passeggeri, in questo caso i migranti, verrebbero immediatamente rilasciati nello Stato che ha indetto il blocco stesso.

Il blocco navale è dunque, sia strategicamente che giuridicamente, insostenibile oltre che del tutto inutile.

Ma questo in realtà la Meloni lo sa bene infatti, nella sua proposta di blocco navale, auspica quella che viene tecnicamente chiamata una Maritime Interdiction Operation (MIO) e che niente ha a che fare con un blocco navale. Il termine “blocco” è usato in maniera impropria, rispetto al significato tecnico e giuridico, per un mero effetto comunicativo-propagandistico che esso può suscitare in un uditorio malinformato. Del resto, si tratta del solito schema populistico, molto simile e quello complottistico: si prende un problema complesso, si fa credere che esista una soluzione semplice che qualcuno (chissà perché) ci nasconde, gli si da un nome accattivante e il gioco è fatto.

La disonestà intellettuale non si ferma però qui. Forse non tutti sanno che quella MIO, apparentemente tanto auspicata dalla Meloni sebbene con un nome più accattivante, esisteva e si chiamava Operazione Sophia. L’Operazione Sophia, fra il 2015 e il 2019, ha portato all’arresto di quasi 200 scafisti e al sabotaggio di circa 500 natanti che altrimenti sarebbero stati recuperati e riutilizzati per successivi trasporti. Sempre grazie all’Operazione Sophia si è anche raccolto l’intelligence necessario per comprendere, e poi bloccare per via politico/diplomatica, parte della logistica degli scafisti, ovvero la fornitura di fuoribordo e gommoni prodotti in serie a basso costo e acquistati dagli scafisti. Inutile dire che l’Operazione Sophia non poteva, da sola, risolvere il problema dell’immigrazione clandestina così come non potrà farlo nessuna fantomatica MIO meloniana, anche se travestita da blocco navale.

Come la Buona Destra non si stancherà mai di dire, non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Eppure, l’operazione Sophia era sicuramente un tassello che andava nella giusta direzione, se ne sarebbe potuto ampliare il mandato e/o potenziarla in termini di assetti a disposizione. Invece, nel marzo 2019, l’operazione viene chiusa. Sorprenderà forse sapere che la chiusura dell’Operazione Sophia fu richiesta proprio dall’Italia, la nazione che più ne beneficiava. Fu proprio il governo Conte1 a chiederne la chiusura su pressioni dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. La UE fu di fatto costretta ad accogliere le richieste italiane perché l’Italia si rifiutava di fornire i porti di attracco alle Unità militari UE impegnate nell’operazione. I populisti sono così: non vogliono risolvere i problemi, vogliono solo cavalcarli.

La domanda che sorge e che sarebbe opportuno fare alla Meloni e i ai suoi sostenitore è quindi la seguente: prima di proporre una MIO (spacciandola per blocco navale, ma vabbè…), avete magari pensato di chiedere al vostro fido alleato Salvini perché si è impegnato così tanto a chiudere proprio quella MIO che adesso invocate?