I torti di Conte. Caro Giuseppe, la difesa della libertà non è un accessorio

L’ex premier e attuale leader del Movimento 5 Stelle, in un incontro con i sindacati confederali, ha espresso contrarietà all’aumento delle spese militari sino al 2% di budget già approvato alla Camera ma che deve passare il difficile scoglio di Palazzo Madama. La motivazione, il pretesto o, se si vuole, la scusa, è quella per cui con il caro bollette, il caro benzina e con gli arretrati in termini di interventi chirurgici ed esami diagnostici rimandati sinora, immaginare di chiedere altri sacrifici agli italiani sarebbe eccessivo.

“In un momento come quello attuale di caro-bollette, dopo due anni di pandemia, e con la recessione che si farà sentire sulla pelle di famiglie e imprese, non si capisce per quale motivo le priorità debbano essere le spese militari – ha affermato l’avvocato del popolo -. Non potremmo assecondare un voto che individuasse come prioritario l’incremento delle spese militari a carico del nostro bilancio nazionale. In questo caso il Movimento non potrebbe fare altro che votare contro”. Poco importa se a rischio c’è la tenuta del Governo Draghi. “Ognuno farà le sue scelte – ha aggiunto Conte -. Ma confido che anche il progetto di rafforzamento della difesa europea sia portato avanti con ponderazione, al fine di razionalizzare le spese e non moltiplicarle, e comunque attraverso uno sforzo comune europeo”.

Conte si chiede “con quale faccia” dobbiamo dire ai cittadini che dobbiamo occuparci di spese militari sulla scia emotiva (sic!) di quanto sta accendo in Ucraina. Viene da chiedersi in quale pianeta viva. La risposta alla sua domanda, invero, sarebbe molto semplice. Se il quesito è “con quale faccia?”, la risposta agevole è “con la faccia dei veri patrioti”. La faccia di chi sa che, innanzi a momenti drammatici della storia, occorre difendere i valori alti della libertà e della democrazia. Con ogni mezzo necessario!

Concetti forse troppo difficili? La domanda sorge spontanea.

Logicamente, la posizione di Giuseppe Conte ha trovato terreno fertile nell’uditorio sindacale che è giunto addirittura a ipotizzare scostamenti di bilancio, incurante del fatto che il debito verrà poi scaricato sulle generazioni future. Ma dal sindacato ce la possiamo pure aspettare una posizione di tal genere. In fondo, per mestiere difende interessi di parte. E quella di Giuseppe Conte che non trova giustificazione alcuna. La politica ha un altro compito da svolgere, un compito che non può essere ridotto alla difesa dell’esistente senza anelito per il futuro.

Insomma, per dirla chiaramente, il vecchio populismo in giacca e pochette ha fatto il suo tempo. È ora di restituire alla politica il compito di guidare la nazione anche attraverso scelte impopolari, ma al contempo lungimiranti. Verrebbe da dire, tragicamente lungimiranti, visto il momento storico.
E’ vero, sono tempi difficili per gli italiani, nessuno lo nega, e proprio per i motivi richiamati dal leader del Movimento 5 Stelle. Ma la domanda che dobbiamo realmente porci, come comunità nazionale, è: la libertà, la democrazia e la difesa della Patria valgono questi sacrifici? E la risposta, per una classe dirigente che voglia realmente essere degna di questo nome non può essere che affermativa. Proprio perché il momento è complicato, non possiamo richiuderci nel nostro egoistico orticello. Come ha detto Mario Draghi, l’Italia non si volta dall’altra parte di fronte all’ingiustizia barbara le cui spese le sta pagando l’Ucraina anche in nome e per conto nostro.

O ci convinciamo di questo, oppure, da oggi in poi non saremo degni di parlare di libertà e democrazia. Come ebbe a dire un altro grande patriota, l’americano Benjamin Franklin, “chi baratta la sicurezza per la libertà non merita né l’una né l’altra”. Sarebbe il caso di riprendere in mano la grande lezione che Franklin ci ha tramandato.

Ecco perché la difesa sindacale della sicurezza economica degli italiani, per quanto importante, oggi non può essere la sola stella polare della classe dirigente nazionale. Certo, occorre essere vigili, evitare eventuali meccanismi truffaldini come quelli evocati dal ministro Cingolani, ma oggi è necessario uno scatto in più. Siamo chiamati a qualcosa di più grane che non la difesa dell’interesse egoistico. E’ necessario appellarsi a quell’orgoglio nazionale che rende fieri di essere italiani e che in tante emergenze ci ha reso comunità forte e unità, nonostante le difficoltà. Un’alluvione, un terremoto, la pandemia soprattutto, sono stati in grado di mobilitare le nostre risorse migliori., in termini di uomini, di donne e di mezzi. Ebbene, innanzi all’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, e quindi dei nostri valori democratici che hanno reso grande la nostra patria e l’Europa tutta, siamo chiamati, in prima persona, a compiere un gesto, di fatto, eroico. Il sacrificio per un ideale (oltreché, più prosaicamente, per la nostra stessa sopravvivenza). Sembra vecchia retorica, ma la storia si è incaricata drammaticamente di dimostrare che tale non è. Nessuno ci chiede di andare al fronte. Anzi, difendere gli ucraini, che al fronte di sono davvero, loro malgrado, eviterà a noi di essere la nuova trincea della guerra che la Russia ha dichiarato al mondo occidentale, per bocca dell’ideologo di Putin, Alexander Dugin. Ciò che si richiede è un impegno di spesa. Si chiede un piccolo sacrificio, una sorta di investimento per garantire la sicurezza di tutti e della patria. D’altra parte, Putin ci ha già messo nel mirino. Le minacce – nemmeno troppo velate – al nostro paese e al ministro della Difesa parlano chiaro. Il rischio è serio e concreto e sarebbe un errore sottovalutarlo per difetto di prospettiva.

Purtroppo, Conte e il Movimento che rappresenta, l’idea di politica come valutazione prospettica sul futuro proprio non la possiedono nel proprio DNA. Nati per la contingenza , i pentastellati non sono mai stati in grado di emanciparsi da questo deficit primigenio. Per dirla in parole semplici, non sono mai riusciti ad andare oltre il palmo del loro naso. Hanno formulato il loro messaggio politico a seconda dell’interesse da perseguire a fini meramente elettorali. In ciò accomunati alla Lega, il vellicare la pancia e gli istinti è stata la loro cifra politica fino dall’inizio. E, coerentemente con la loro visione miope della politica e incapaci di osservare il futuro da altezze diverse dal “qui e ora” , anche in questa occasione si sono concentrati sul piccolo perdendo di vista il grande. Non hanno saputo andare oltre, accettando la sfida dell’impopolarità (forse) nel breve periodo per garantire un risultato di lungo periodo.

Se si ha chiaro questo, si capisce che la posta in gioco non si limita solo all’aumento della spesa militare. Si tratta del modo stesso di concepire la politica e il suo compito storico. Nel caso di specie, come si fa a non comprendere che Putin minaccia l’Occidente intero e non solo l’Ucraina? Come si fa a sottovalutare ciò che proprio ieri il presidente Zelensky ha detto innanzi al Parlamento? Si può non comprendere solo se si è ciechi. Solo se si è talmente autoreferenziali da non vedere che cosa c’è oltre l’oggi. Cioè, solo se non si è élite, in un momento in cui la nazione ha bisogno di élite. E Conte e i Cinquestelle, a dispetto della giacca e della pochette, élite non lo sono né lo saranno mai.

Conte è l’epitome di tutto ciò e la sua presa di posizione di fronte ai sindacati ne è il drammatico esempio. La plastica dimostrazione di come l’Italia avrebbe bisogno di più Draghi e meno Conte.