di Francesco Rubera
Ancora bandiera bianca sugli equipaggi dei pescherecci italiani sequestrati in Libia. E’ questa la triste realtà in Libia orientale. Il generale Haftar resiste con questo sorpruso contro l’Italia e sta imponendo indisturbato la sua forza alla comunità internazionale in risposta al congelamento dei rapporti imposto da Unione sovietica, Turchia e Stati Uniti.
Il presidente della commissione Affari esteri del parlamento Libico, Yusuf Al-Agouri, sostiene che i pescatori appariranno davanti un tribunale per rispondere di reati commessi ( non si capisce quali capi d’accusa vengono mossi se creati ad hoc o frutto di cospirazione). In realtà secondo le autorità italiane, i pescherecci sono stati fermati a parecchia distanza dalle acque territoriali libiche, ma comunque in zona economica esclusiva della Libia. Secondo il diritto internazionale e della navigazione, quindi, sulla carta il caso va trattato attraverso le vie ordinarie della giustizia libica, ma la vicenda resta oscura e presenta incertezze ancora oggi irrisolte e molti punti oscuri . Infatti, si tratta dell’ennesimo sequestro di pescatori italiani per mano della Libia, che in genere si è sempre risolto al massimo in 48 ore. Da 2 mesi invece, i dieci pescatori italiani partiti da Mazara del Vallo si trovano bloccati in Libia. Due di loro sono ubicati a bordo delle imbarcazioni sequestrate e otto nei pressi di Al-Marj, la roccaforte di Haftar. La vicenda è ancora di più dubbia e dagli aspetti incresciosi se se pensa che si potrebbe trattare di un vero e proprio sequestro di persona con una presunta richiesta di riscatto, ossia la liberazione dei 4 calciatori libici detenuti in Italia perché condannati in appello nel 2015 con l’accusa di essere scafisti sorpresi durante un traffico di esseri umani e immigrazione clandestina. L’ ambasciata libica a Roma ha esaminato la possibilità del ricorso in Cassazione. Che la richiesta di scarcerazione sia stata avanzata prima del giudizio davanti al giudice di legittimità, fa assaporare il retrogusto amaro del riscatto che dipinge la vicenda dei pescatori siciliani come un vero e proprio sequestro a sfondo ricattatorio. Sicuramente siamo di fronte ad un fatto grave per la comunità internazionale, un ricatto che in altri tempi avrebbe scatenato un attacco di caccia bombardieri da parte dell’Europa.
Secondo alcune fonti, pare tuttavia che tale richiesta sia giunta dalla Cirenaica dove, dopo la caduta di Gheddafi, esiste un governo parallelo guidato dal 2014 dal primo ministro “orientale” Abdullah al Thani, il quale, qualche settimana fa, ha presentato le sue dimissioni dopo essere stato contestato dal popolo. Secondo fonti Libiche, che giungono da Bengasi, sotto il comando del generale Haftar, pare che a bordo dei pescherecci durante i controlli sia stato rinvenuto un carico di stupefacenti. In realtà, si teme che possa trattarsi di un pretesto o di prove inquinanti, sollevato da chi avrebbe interesse a trattenere gli italiani in ostaggio per il riscatto dei 4 scafisti condannati, da realizzare attraverso lo scambio dei pescatori trapanesi. La coincidenza vuole che il fermo sia avvenuto proprio nel giorno della visita in Libia del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, recatosi dal presidente del parlamento di Tobruk Aguila Saleh, ma non da Haftar che ha perso peso militare e politico. Tuttavia, il generale Haftar vuole mostrarsi ancora potente con Roma e il mondo, parlando al suo popolo a difesa dei calciatori libici arrestati e detenuti in Italia che appartengono a importanti clan locali in Libia, dediti al traffico di esseri umani.
Percorrere i canali diretti è difficoltoso, sia per la credibilità degli interlocutori, sia per la frastagliata situazione politica libica. C’è un governo insidiato e riconosciuto dalle Nazioni Unite e dal diritto internazionale oltre a quello di Fayez al Serraj. Di Maio sta cercando appoggi diplomatici attraverso la Russia e gli Emirati Arabi che appoggiano Haftar, anche se la Turchia ha maggiori influenze nel mondo libico. Di certo, dopo il crollo di Gheddafi, la situazione Libica è molto difficile. Un territorio devastato da anni di dittatura e guerre civili di fatto in balia ad organismi di autogoverno spesso clandestini e in mano a gruppi terroristici che comandano e si impongono in alcune zone del territorio con la forza e l’appoggio delle mafie locali, accanto a gruppi territoriali riconosciuti a livello internazionale. Di fatto la Libia, rappresenta una polveriera per il mediterraneo ed in questa situazione politica è difficile trattare alla pari, ma necessita l’intercessione di qualche potenza, come la Russia, o la meno potente ma influente Turchia, che la Libia segue o perché nel primo caso ha grossi interessi economici da mantenere specie in materia di raffinazione petrolifera e dei suoi derivati, o perché nel caso della Turchia subisce notevoli influenze e appoggi diplomatici con il resto del mondo mediorientale. Intanto, in Italia è stato convocato più di un vertice di governo sulla vicenda dei pescatori italiani. È sempre più fondata l’opinione che si tratta di un inaccettabile ricatto che i libici non possono usare, ma che tuttavia pare stiano utilizzando sino ad oggi indisturbati. Va da sé, che se dovesse essere dimostrata la tesi del sequestro a fini di riscatto, siamo di fronte ad un indegno e gravissimo attacco “di terrorismo” legalizzato e statalizzato da uno stato in balia dell’anarchia della guerra civile nei confronti del diritto internazionale e dello stato di diritto italiano. Gli attentati terroristici di Francia e Austria dei giorni scorsi stanno generando una reazione da parte austriaca e francese, forse pericolosa, per la chiusura dei confini all’islam. Le reazioni di parte del mondo islamico lasciano presagire un indebolimento dei rapporti diplomatici con parte dell’Europa, con un ulteriore inasprimento dei conflitti latenti, ma possibili e che incidono indirettamente sulla sorte dei pescatori sequestrati.
Questi episodi non fanno di certo bene per la vicenda dei pescatori italiani che è ancora in itinere e non ha trovato sblocco. L’ aggravarsi delle relazioni tra Europa e la parte del mondo islamico oltranzista non fa sicuramente bene alle trattative per lo sblocco del sequestro dei nostri connazionali, che di sicuro, pagano il prezzo da vittime innocenti dell’escalation violenta che ha interessato Tripoli e le zone limitrofe nell’ultimo anno e che non fa di certo presagire che la sorte politica della Libia sia in mano a interlocutori affidabili. Basti pensare che nella primavera dello scorso anno 27000 persone hanno abbandonato le loro case a Tripoli. Molti civili si trovavano intrappolati in questa guerra civile tra “cosche di indubbia dittatura terroristica”. Le condizioni dei rifugiati e dei migranti detenuti illegalmente era già motivo di estrema preoccupazione della comunità internazionale. L’esplosione della violenza in un paese ove trovano passaggio i migranti dell’Africa e l’ escalation delle mafie locali sul traffico degli esseri umani ha di fatto creato una degenerazione del potere, detenuto con l’avallo e le alleanze criminali dei dittatori locali. Coloro che cercano di attraversare il mediterraneo e che provengono dall’Africa centrale, rischiano di essere rimandati in Africa, passando attraverso un paese in guerra da anni, in cerca di stabilità politica, con il rischio di diventare nuovi schiavi di questa tratta infernale di esseri umani poiché riciclati nella loro identità con documenti falsi e rispediti al mittente per diventare schiavi del mercato agricolo in Europa.
E se in questa guerra di sorprusi si erige l’insidia del mostro del ricatto internazionale, si finisce per avallare il terrorismo e la tratta degli schiavi, lasciando impuniti quei scafisti che, sotto la minaccia del “rapimento” dei pescatori siciliani, diventeranno un pericoloso precedente di merce di scambio per il riscatto dei ricatti terroristici che potrebbero trasformarsi in prassi.