“Hanno sterminato la mia famiglia”: ora Serhiy si arruola per difendere l’Ucraina

Ha attraversato la Russia per poter tornare a Irpin a dare degna sepoltura alla moglie Tetiana e ai figli Mykyta e Alisa, caduti sotto i colpi di un mortaio russo proprio mentre cercavano di attraversare un ponte per fuggire dalla guerra di Putin.

Serhiy Perebynis, 43 anni, è l’uomo che ha scoperto di aver perso la sua famiglia dalle immagini dei corpi per strada pubblicate su Twitter. Era rimasto bloccato a Donetsk per assistere la madre anziana e malata e non ha potuto evitare il massacro della moglie e dei due figli. Per tornare a casa ha attraversato il territorio russo: da Donetsk a Irpin passando per Mosca. Quattro giorni senza dormire, completamente sopraffatto dal dolore.

“Stavo fumando una sigaretta sul balcone dell’appartamento di mia madre a Donetsk, osservavo le bombe cadere sulla città – ricorda Sarhiy su Repubblica -. Le avevo portato il respiratore per l’ossigeno perché aveva il Covid. Con Tetiana avevamo studiato nel dettaglio il piano di evacuazione da Irpin e seguivo i suoi spostamenti su Google, con la condivisione della posizione. C’era poco campo, la T di Tetiena sullo schermo appariva e spariva. È ricomparsa sull’Ospedale N.7. Non capivo. Poi ho letto un tweet e ho visto quella foto. Ho urlato con tutto il fiato che avevo in gola. Da lì in poi, un unico pensiero: vederli un’ultima volta, dare loro una sepoltura degna. Però Donetsk è nel Donbass filorusso, nessuno può entrare in Ucraina ora che i check-point sono ridotti in polvere”.

“Quindi sono salito in macchina e sono andato a est, verso Rostov sul Don – continua -. Al confine le guardie mi hanno portato in una stanza per interrogarmi. Mi hanno tenuto lì per 5 ore, loro gelidi e scettici alla fine mi hanno lasciato passare. In autobus sono arrivato fino all’aeroporto di Mosca. Stessa scena: controllato da uomini dei servizi russi, ‘chi ha bombardato la tua famiglia?’. Stessa risposta, stessa indifferenza. Da Mosca a Kalilingrad, in taxi fino alla dogana con la Polonia. Gli unici a provare pietà per me erano i tassisti russi, confessavano che era una guerra che non apparteneva loro. Da lì sono andato a Leopoli e poi a Kiev. Sono stato per tre giorni all’obitorio N°1, quello centrale, c’erano troppi cadaveri provenienti da Irpin e Bucha, bisognava mettersi in fila. Ho chiesto ai volontari di portarmi da mia moglie per sbloccare il suo iPhone. Contiene le foto della mia famiglia, le volevo. Ho preso il pollice freddo di Tetiana e l’ho appoggiato sullo schermo, però non si è sbloccato, funziona solo con le persone vive. Dopo un po’ mi hanno consegnato tre bare. Ho vestito Mykyta e Alisa, ho vestito la mia Tetiana, li ho sepolti nel cimitero di un villaggio a sud della capitale”.

Uno strazio che ora anima il suo desiderio di vendetta. “Sono riuscito ad arrivare fino al punto dove sono morti, ho preso i trolley e la gabbietta del cane, della mia famiglia rimangono solo quelle due valige sporche di sangue – conclude -. Mi hanno chiesto di entrare nelle Forze di difesa territoriali, per tornare a Irpin a sparare ai russi, è più sì che no, sto riflettendo. Ho un fucile che è rimasto a casa mia. Ho voglia di proteggere la mia patria. Sono già scappato dal Donbass nel 2014, non voglio scappare più. Non saremo noi ad andarcene, questa volta”.