Sì è preoccupata di non scontentare nessuno, con una strategia demagogica degna del miglior Giuseppe Conte. Ma nelle sue parole non c’è la minima idea di Paese, non c’è un accenno a come intende governare, a cosa intende fare nel merito per dare un futuro stabile all’Italia.
Il discorso alle Camere della premier Giorgia Meloni non è solo parole in libertà. È una autocelebrazione sterile della sua storia politica, improntata più ai ringraziamenti a coloro che la Meloni stessa ha sempre avversato – l’ex presidente Mario Draghi, in primis, che pur le ha offerto grande collaborazione, e il Capo dello Stato Sergio Mattarella, che dal 25 settembre l’ha guidata non poco nella difficile fase di transizione – che all’indirizzo programmatico. Parole che hanno riguardato ciò che la Meloni non vuole essere – ha abiurato pubblicamente il ventennio fascista e le leggi razziali – più che ciò che intende fare, eccezion fatta per il perdono agli evasori fiscali e la revisione del reddito di cittadinanza. Poi tanto retorica, tanto femminismo, ma poca sostanza.
Condivisibile o meno, ha svelato più del programma di governo ieri sera Salvini a Porta a Porta che la Meloni ne suo discorso alle Camere.