Era una donna.
Una donna uccisa in modo barbaro e fatta a pezzi. Pezzi che, poi, in parte sono stati conservati dall’assassino nel congelatore e in parte gettati in una scarpata:
Non era una pornostar, era una donna. La dodicesima vittima di femminicidio (ma in totale ad oggi gli assassinii di donne sono 14) in Italia dall’inizio del 2022.
Carol Maltesi era una ragazza di 26 anni, una mamma che si manteneva (e manteneva suo figlio) facendo video porno e film hard – e non si curava di farne mistero – perché in questo modo guadagnava di più che col precedente lavoro di commessa. Ed è stata uccisa dall’ennesimo uomo incapace di frenare la violenza e di canalizzare la rabbia.
Non ha alcuna importanza cosa facesse Carol nella sua vita privata o per vivere, quali fossero i suoi gusti, le sue attività, se le piacesse o meno fare quello che faceva: i video hard e il porno non la rendono meno vittima. Era una donna ed è stata ammazzata, punto. Una donna che aveva liberamente scelto di disporre del proprio corpo e di esibirlo, infrangendo tabù di una società bacchettona e ancora fintamente aperta. Dove sei ben accetta solo se sei “regolare”, altrimenti puoi anche venire ammazzata come un cane, col tuo corpo fatto carne da macello e la tua anima vilipesa e derisa anche dopo una morte orribile.
Per questo la battuta inqualificabile di Pietro Diomede (che non riporteremo per decenza e rispetto verso una vittima di femminicidio, verso il suo bambino rimasto orfano e verso la sua famiglia), “umorista” poi sospeso da Zelig, è ancora più inaccettabile: perché è intrisa di sessismo, di moralismo da quattro soldi, di pregiudizio stupido, di disprezzo per le donne e per la stessa vita umana, di un insopportabile perbenismo mascherato da satira. Una battuta di ignobile violenza nei confronti una donna ammazzata e fatta a pezzi che nessuno avrebbe dovuto minimamente concepire. Sia che la vittima di mestiere facesse la pornostar, sia qualsiasi altro lavoro.