Manca poco più di un mese alla chiamata alle urne. Ma come osserva Giovanni Orsina, politologo e storico italiano, in un lungo articolo uscito su «La Stampa», ci si è arrivati in un momento delicatissimo, come peggio non avremmo potuto. Sarebbe stato decisamente meglio affrontare il prossimo autunno che si prospetta assai difficile, in maniera ordinata, più composta, con Mario Draghi (garanzia di serietà) in testa ad un esecutivo, che finora aveva fatto bene su più fronti. Senza contare poi il modo con cui l’ex numero uno della Bce è stato defenestrato: “La crisi di governo ha avuto dei passaggi grotteschi che certo non hanno contribuito ad accrescere la credibilità già bassissima del ceto politico”, spiega Orsina, che rimarca “l’uscita di scena di Draghi e la prospettiva delle urne hanno ulteriormente innalzato i già elevati livelli di isteria e catastrofismo della sfera pubblica italiana. Come se si trattasse della fine del mondo. Ma isteria e catastrofismo fanno male all’Italia, non soltanto perché radicalizzano l’opinione pubblica, ma soprattutto perché trasmettono al di fuori dei nostri confini il messaggio che il Paese è ormai sull’orlo dell’abisso”. Il risultato? Pessimo. Un’immagine debole dell’Italia all’estero.
Nella sua disamina Orsina fotografa la situazione e spiega come i partiti italiani si presentano oggi alle elezioni: “La destra italiana è poco seria dal 1994, e si dura gran fatica a sperare che rinsavisca dopo quasi trent’anni. La poca serietà di Silvio Berlusconi, in realtà, rappresenta da sempre una parte integrante del suo messaggio, un modo per negare alla politica importanza e solennità, per segnalare agli elettori che la vita è altrove, nella famiglia, nella società civile, nel mercato. Matteo Salvini sembra aver ereditato il dadaismo del Cavaliere, ma con un’aggiunta di radicalismo che lo ha reso meno lieve e, in fin dei conti, meno simpatico. Giorgia Meloni – che l’altroieri, intervistata dalla Stampa, ha invocato più volte la serietà – non condivide invece la leggerezza dei suoi compagni d’avventura. Le sue radici affondano nel cuore del ventesimo secolo, del resto, il secolo dell’iper-politica, mentre gli altri due sono figli della fase terminale del Novecento, segnata dall’antipolitica e dal populismo”. In altre parole “la politica italiana ha qualche (modesto) spazio di movimento, ma non può avventurarsi al di fuori di un perimetro ben preciso”.
La politica italiana non può nemmeno permettersi di uscire da “un perimetro che ha una forma triangolare, ed è fatto di lealtà atlantica, volontà di partecipare costruttivamente alla vita dell’Unione europea, determinazione a non destabilizzare l’euro con tutte le conseguenze di finanza pubblica che ne derivano. Potremmo chiamarlo, appunto, ‘perimetro della serietà’, perché non è serio raccontare agli elettori che se ne possa prescindere sapendo che non si può, o senza dire loro quale prezzo si pagherebbe se non se ne tenesse conto”. Chi è pronto? Qui si parla di responsabilità. La serietà fine a se stessa non basta. Non deve essere “un vessillo, un alibi, un mezzo di conservazione del potere”. Pena un’Italia ancora più indebolita, fragile. “Berlusconi, Salvini e Meloni, in forme, su fronti e a livelli d’intensità differenti, hanno tutti e tre gettato un occhio, e talvolta ben più di un occhio, al di fuori di quel perimetro”, osserva Orsina. E gli altri dovrebbero “approfittarne”.