Le piccole imprese sono il motore del Paese, gli unici veri “eroi” in una congiuntura economica difficilissima ma che possono traghettare l’Italia fuori dalla crisi (l’ennesima). Il tempo è poco e le emergenze sono tante, a partire dal cibo, acqua, gas ed energia. La guerra nel cuore dell’Europa che segue di pochissimo una pandemia dalla quale peraltro neanche siamo ancora usciti (anzi!) ha delle ricadute così importanti e gravi sul tessuto economico e produttivo della nostra Nazione che urgono misure urgenti tempestive e radicali. Non possiamo continuare e nicchiare, a prendere tempo, a rimandare interventi drastici di investimento pubblico e privato a sostegno delle filiere produttive e più in generale del sistema paese.
Dalle difficoltà delle imprese italiane deriva poi il rischio occupazionale anche, soprattutto nel settore dell’artigianato e della produzione manifatturiera vera colonna portante dell’economia nazionale. In autunno è previsto l’aumento della tensione sociale derivante dai rincari di gas, luce e carburantim che, uniti a quel che già adesso sta accadendo, può esser il colpo di grazia per il nostro Paese. In tutto ciò, si innesta la crisi di domanda di lavoro, con tantissime aziende che offrono contratti degni e stipendi elevati ma che tuttavia non attirano personale. Questo sta funestando in particolare il settore turistico e della somministrazione, messo in ginocchio da una spirale perversa fatta di misure assistenziali che disincentivano al lavoro e una scarsa propensione al sacrificio da parte di chi dovrebbe iniziare a lavorare di cui già abbiamo scritto in abbondanza nei mesi passati. Insomma, il mondo della piccola industria e dell’artigianato aspetta disperatamente la Politica e con essa misure strutturali – e non meramente congiunturali – di riduzione della pressione fiscale, semplificazione degli adempimenti burocratici, di accesso a nuovi strumenti di finanza d’impresa, ai progetti di innovazione digitale e tecnologica, di transizione ecologica e di internazionalizzazione.
Si tratta di vere e proprie politiche di rilancio che sappiano scommettere sulla capacità di resilienza del nostro mondo produttivo che però possa essere una specie di elastico in grado di proiettarci nel futuro e non sia di lento accompagnamento all’eutanasia economica. Per dirla semplice, le imprese italiane hanno dimostrato di avere capacità di resistere agli urti, ma non abusiamone, perché altrimenti salta tutto. Sostenere la competitività del nostro sistema produttivo è quindi un imperativo categorico e oggi, tenuto conto di tutto, è davvero la vera emergenza del Paese. Dinanzi a ciò la politica non può star ferma né può continuare a indulgere in misure costose di spesa assistenziale (si sa, le elezioni si avvicinano e le mance fan prendere voti); al contrario deve mettere in campo tutto un sistema – anche grazie ai fondi del PNRR che per quanto non utilizzabili per spesa corrente possono lo stesso agevolare indirettamente la ripresa – che sappia evolvere verso un modello di investimenti massici in grado di produrre ricchezza. Senza investimenti non c’è futuro! E mentre qualcuno chiede ancora scostamenti di bilancio e deficit (con buona pace delle future generazioni), è invece necessario tagliare le spese non necessarie e investire nei settori strategici della nostra economia.
Abbiamo citato la riduzione fiscale e davvero essa meriterebbe un capitolo a parte. Ma quel che si può dire, seppur sinteticamente, è che accanto alle doverose misure messe in campo da Governo Draghi per il contrasto all’evasione (si pensi all’obbligo sanzionato del POS per i professinisti), non possono mancare politiche di alleggerimento tributario in assenza delle quali si rischia davvero che tutto il tessuto produttivo vada gambe all’aria. L’impegno dovrebbe essere quello di ascoltare attentamente le istanze che derivano da quel mondo, produttivo e delle cosiddette partite iva, farne tesoro e aprire una nuova fase. Ciò è possibile e deve esser fatto. Con uno slogan si potrebbe dire: se non ora, quando? Se non Draghi, chi? La Legge Finanziaria può essere l’occasione per dare un colpo di reni e dare un segnale forte a chi oggi consente all’Italia, nonostante tutto, di essere ancora la seconda manifattura d’Europa dopo la Germania. Per far questo serve una classe politica all’altezza, che sappia uscire dalla logica del contingente ritorno elettorale e sappia farsi costruttrice di futuro.