L’ex portavoce di Giorgia Meloni e ora eurodeputato, Nicola Procaccini, già sindaco di Terracina, con la scusa dell’immigrazione clandestina provò a ostacolare le indagini che la Capitaneria di porto stava portando avanti sull’amministrazione di Roberta Tintari, sua vice quando era primo cittadino del comune laziale ed eletta dopo le dimissioni per volare a Bruxelles. In quello che è uno storico feudo di Fratelli d’Italia, l’eurodeputato – indagato per induzione indebita a dare o promettere utilità – avrebbe continuato a mettere il becco provando a velocizzare istruttorie per rilasciare licenze. Non solo. Nell’ordinanza firmata dalla giudice per le indagini preliminari Giorgia Castriota, che ha portato a decapitare l’amministrazione comunale con l’arresto di Tintari e di due assessori, viene ricostruito infatti anche quello che per i magistrati è stato un tentativo di ostacolare l’inchiesta della Capitaneria di Porto, poi affiancata anche dai carabinieri nel documentare i presunti reati. Lo riportano oggi diversi quotidiani, tra cui il Fatto.
Motivando le esigenze cautelari nei confronti di alcuni politici e imprenditori, la giudice Castriota lo scrive in maniera esplicita: “Nel tentare di ostacolare l’attività di indagine, gli indagati si sono finanche serviti dell’intervento dell’europarlamentare”, il quale “ha provveduto a contattare in prima persona – riporta sempre il Fatto – soggetti appartenenti ad altre istituzioni, quali il precedente comandante della Capitaneria di Porto Andrea Vaiardi e il procuratore della Repubblica di Latina dott. Lasperanza”. Il fine? “Nella vana speranza dì delegittimare e paralizzare le operazioni investigative condotte dagli ufficiali” di polizia giudiziaria. Tra gli episodi documentati, nell’ordinanza viene ricostruito nei dettagli l’ultimo e più clamoroso. Il 29 marzo 2021, si legge nelle carte, “veniva documentato un ulteriore tentativo di Procaccini di arrestare l’azione investigativa”. In un’intercettazione tra la sindaca Tintari e l’eurodeputato, quest’ultimo afferma che “l’indomani avrebbe avuto un incontro con il comandante regionale della Guardia Costiera”, il capitano di vascello Francesco Tomas.
E quindi, ricostruisce il giudice, “le suggeriva – si legge su Il Fatto – di recuperare tutta la documentazione in suo possesso relativa alle indagini della Guardia Costiera, per poter, sostanzialmente, suggestionare e stimolare un intervento” di Tomas. “Effettivamente, dopo la telefonata intercorsa tra la Tintari ed il Procaccini, venivano captate una serie di altre conversazioni dalle quali si comprende inequivocabilmente una frenetica attività di raccolta degli atti di indagine svolti dalla polizia giudiziaria nei confronti del Comune di Terracina”, è riassunto nell’ordinanza. Sulla base di quanto ascoltato, il giorno dopo gli inquirenti predispongono un “servizio di osservazione” vicino alla Capitaneria di Porto di Civitavecchia: poco dopo le 11, ecco “l’arrivo presso il varco portuale di Calata Cesare Laurenti” di Procaccini “con in mano della documentazione”. L’eurodeputato entra negli uffici “ove si incontrava” con il comandante Tomas, lasciando poi la sede della Capitaneria poco prima delle 13 “senza la documentazione di cui prima era in possesso”.
A quel punto il procuratore aggiunto di Latina richiede a Tomas una relazione sull’incontro con Procaccini, nella quale il comandante della Capitaneria evidenzia “come l’incontro richiesto dall’europarlamentare per questioni afferenti l’immigrazione clandestina – si legge nelle carte riprese dal Fatto – si era poi disvelato un maldestro tentativo diretto a richiamare l’attenzione” sulle “indagini che la Guardia Costiera di Terracina stava da tempo conducendo” e “in particolare sulla solerte azione investigativa” di uno degli ufficiali che gli indagati avevano messo nel mirino. E dal comandante Tomas arriva anche la conferma che durante l’incontro Procaccini “esibiva e consegnava” una “copiosa documentazione afferente le indagini (ordini di esibizione e consegna atti, decreti di perquisizione e sequestro, verbali delle operazioni svolte, etc) nei quali l’onorevole non compariva in alcun modo” e “di cui non era tenuto e titolato a conoscere”. Come comprovato dalle intercettazioni, sottolinea la giudice, la documentazione “consisteva negli atti richiesti” il giorno precedente da Procaccini alla sindaca Tintari e a un dirigente comunale.