Il cambiamento epocale del nostro tempo sta sedimentando sotto i nostri piedi, ma la politica non se ne rende conto o finge per convenienza. Questa nuova epoca, per essere compresa e vissuta consapevolmente, richiede nuovi paradigmi e nuovi linguaggi, ma la politica rimane avvitata su se stessa, con la sua autoreferenzialità e l’incapacità della classe dirigente tutta, a prescindere dal ruolo di governo o di opposizione, di proiettarsi realmente nel futuro. Il bipopulismo è sempre meno un fenomeno degenerativo, ma è sempre più conseguenziale alla rassegnazione della politica. Senza un nuovo linguaggio che parli a tutti gli elettori e non solo ai vari “zoccoli duri” (assolute minoranze), se ancora così possono essere chiamati, l’alternativa non può germogliare e tutto continuerà con il triste spettacolo quotidiano in cui si pensa di continuare a vivere in un novecento immaginario, polarizzato in tifoserie, senza comprendere che in questo modo tutto è destinato all’estinzione.
Conservatori e progressisti, riformisti e massimalisti, centro, destra, sinistra: è un fiume carsico che scorre e corrode le fondamenta della nostra Repubblica, e sempre più forte emerge il senso di deresponsabilità imposto dalla logica bipopulista con la continua richiesta della soddisfazione di “diritti”. Ma, come ci insegnava Sergio Marchionne, una società ha bisogno, per vivere, di doveri e responsabilità.
Davanti alla superficialità di destra e sinistra, c’è sempre più bisogno di un nuovo patto fondativo della comunità per una nuova Repubblica attraverso la riscrittura della Carta Costituzionale. La missione, se così si può chiamare, per chi crede realmente nella necessità di un cambiamento radicale delle cose, è proprio quella di esprimere un rinnovamento istituzionale e dare corpo veramente alla seconda Repubblica. Come nel ’46 si chiuse l’epoca monarchica/fascista attraverso la realizzazione della prima Repubblica, oggi va riconosciuto che quel passaggio storico ha esaurito ogni forza propulsiva. La nostra Costituzione non è la migliore del mondo, fu quella possibile in quel momento storico in cui prese vita. Quelle condizioni geo-politiche suggerirono di coniugare i valori del mondo cattolico con quelli del mondo comunista a vantaggio però di quest’ultimo, facendo nascere una Costituzione basata sulla cultura che premia senza riserve le pretese del cittadino lavoratore rispetto al cittadino cliente, sull’idea che il lavoratore sia necessariamente vittima e l’impresa necessariamente il carnefice.
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Oggi quelle condizioni storiche geo-politiche che hanno generato la sintesi cattocomunista non esistono più da lustri e lustri in una situazione sempre più incancrenita. Questo ci dice che non è più rinviabile la definizione di un nuovo patto costitutivo di una nuova Repubblica in senso liberale. Oggi il ruolo di un presidente della Repubblica garante di quella unità nazionale per assicurare la convivenza cattocomunista non ha più ragione di esistere. L’elezione diretta del Presidente della Repubblica segnerebbe finalmente il passaggio a una più serena democrazia dell’alternanza. Questo è il momento del coraggio oltre tutti i vecchi schemi.
Rimane il fatto che il rinnovamento politico istituzionale non può certamente essere guidato dagli eredi di quel mondo cattocomunista che diede vita alla Carta Costituzionale della prima Repubblica. Un insieme di polverose e inconcludenti sigle che in realtà, per la maggioranza, non sono nemmeno più tali. In questo senso, inutile girarci intorno, l’iniziativa di Calenda di dare vita ad una costituente per un nuovo partito della Repubblica fondato sulla base della prima parte della Costituzione, appare di un’inadeguatezza disarmante. La direzione dunque è quella di procedere verso la definizione della seconda Repubblica, ma per fare ciò occorre ricostruire lo strumento partito la cui esistenza è determinata dall’idea di società che propone e non dalle logiche personalistiche a cui ormai siamo assuefatti. Fondare un partito veramente nuovo liberaldemocratico che non può essere la somma di sigle esistenti intente a sterminarsi, è lo strumento corrispondente alla definizione della nuova carta Costituzionale in senso liberale. Non ci sono scorciatoie o fasi intermedie, tutto è imposto dall’impellenza delle cose. L’alternativa è semplice, è il perpetuarsi di questo bipopulismo caratterizzato sempre più come un festival dell’irresponsabilità, dove le campagne elettorali non sono lo strumento per poi costruire politiche, ma lo scopo dell’esistenza del politico e di ciò che ormai resta del sistema partitico.