La decadenza politica, frutto della deriva sociale e culturale strisciante in un Paese in balìa di se stesso, e la costante rincorsa ad un potere effimero per il mantenimento di posizioni di comando in una barca che affonda: questo è il riassunto, personale, delle ultime 72 ore.
Tra cori festanti di sostenitori da stadio analfabeticamente distanti dalla tragica realtà che dovremo affrontare e politicanti da strapazzo che hanno come ultimo fine la conta elettorale a discapito del futuro di un Paese di cui vorrebbero, nominalmente, tutelare gli interessi, abbiamo assistito ad uno spettacolo di infimo livello consumato alla spalle degli italiani.
Le folle da social ululanti che antepongono sempre il proprio interesse di categoria, miopi davanti a visioni di più lungo raggio, ciechi davanti a ciò che offriremo, con colpevole egoismo, alle generazioni future, ai nostri figli, ai loro figli, disegnano un futuro nefasto in cui presunti leader continueranno il proprio gioco senza offrire nulla al Paese.
La politica, con i propri accaniti fan del populismo più becero, ha offerto il fianco ad un’ulteriore decadimento sociale, economico e culturale, pur avendo in mano le carte vincenti per costruire un futuro diverso, nel breve e nel lungo termine, a tutti noi.
Purtroppo, la memoria di massa, dopo l’estate, le spiagge, i mojito, i tormentoni latini, sarà nuovamente azzerata, in una società del mordi-e-fuggi, impostata solo sull’apparenza del momento, sullo slogan acchiappa-like, sulla proposta roboante che solletica la pancia.
Purtroppo, coloro che dovrebbero assumersi la responsabilità delle scelte politiche che causeranno l’ulteriore affossamento della nostra economia non lo faranno ed in quei mesi in cui si sarebbero dovute attuare misure fondamentali per il Paese, a partire dagli obiettivi da centrare per ottenere le ultime due tranche del RF, assisteremo all’ennesima campagna elettorale da bar sport.
Purtroppo, un elettorato troppo incline agli slogan di post mordi-e-fuggi ed ormai disabituato a ragionamenti più complessi del “domani”, difficilmente sarà in grado di valutare le proprie scelte con una visione che vada oltre al domani, al prossimo appuntamento elettorale. Quel minimo di elettorato rimasto, tra l’altro. Perché davanti a questo becerume sempre meno persone si recano a votare, decidendo per tutti.
Davanti ad uno scenario simile, si evidenzia come il Paese necessiti di una rivoluzione culturale prima ancora che politica, che possa riattribuire ai propri appartenenti una capacità razionale di scelta e di critica che vada oltre al proprio naso, allo slogan, al selfie da pseudo influencer o pseudo politico di turno.
Forse dalle macerie si potrà ricostruire, forse gli stessi esultanti odierni, domani o dopo si trasformeranno in mugugnanti incompresi. Forse. O forse abbiamo perso l’ultima opportunità per ricostruirci e dobbiamo trasformarla in opportunità per ripartire.
Una ripartenza che politicamente potrà nascere dalle immense praterie che, ancora una volta ieri, si sono manifestate nel campo dei valori liberali, riformisti e repubblicani non più rappresentati in Parlamento. Valori che l’attuale centrodestra non rappresenta più da tempo, una coalizione da ieri ancora più spostata verso il populismo più infimo con Forza Italia che sta esalando gli ultimi respiri. Valori che un PD costantemente impegnato nella rincorsa al “campo largo” non ha mai rappresentato e che, presentandosi con “l’alleato organico”, rinnegherà se stesso.
I tempi sono stretti per costruire quell’alternativa al bipopulismo di cui c’è disperato bisogno. Stretti, ma maturi perché davanti a tutto ciò viene spontanea una domanda: se non ora, quando?