Ci troviamo di fronte ad uno spartiacque. Come fu con la strage del Circeo nel 1975, che segnò un prima e un dopo sulla convinzione sociale della lontananza della violenza sulle donne da un mondo di vita “perbene”. Violenza vista solo come figlia del disagio e della marginalità. A ricordarcelo è Flavia Perina sulle pagine della Stampa. “Quasi mezzo secolo dopo l’omicidio di Rosaria Lopez e il tentato omicidio di Donatella Colasanti la riflessione più amara riguarda la percezione collettiva dell’evento. Nessuno, all’epoca, avrebbe neppure immaginato di rimbeccare una parente delle vittime che chiama in causa la cultura patriarcale. Nessuno avrebbe difeso o addirittura proposto come consulente di rango l’autore di un libro che mette alla pari, sullo stesso piano, l’aggressività predatoria degli uomini e la cattiveria delle donne in un capitolo intitolato «Il diavolo è anche donna»”.
Ce lo dice chiaro e tondo. Da giornalista di destra. Siamo tornati indietro. Ed è tornata indietro anche la destra. Nel ’75 nessuno, dopo aver scoperto l’orrore covato tra i ragazzi bene dei Parioli, si sarebbe permesso di mettere in dubbio il diritto del mondo femminista a protestare, nessuno avrebbe cercato di manipolare la realtà fino al punto di dare della satanista alla sorella della vittima, nell’indecente teatrino portato avanti dal consigliere regionale della Lega.
“Fu silenzio, riflessione dolorosa”. Oggi invece la destra parla, parla e inveisce. Contro la sorella, contro le proteste, contro quella che secondo loro è una narrazione sbagliata. Non comprende il valore del silenzio, il diritto di una sorella che ha subito una tragica perdita di dire la sua opinione. Scherna e svilisce chi in questo momento è parte lesa, chi attraversa un drammatico lutto.
Leggi anche: Oltre la macchina mediatica: il modello occidentale contro il dramma dei femminicidi
Oggi la destra ha come leader indiscussa una donna lontana da una storia caratterizzata dal patriarcato. Lo ricorda con il tweet che la ritrae con nonna, mamma e figlia. Un ambiente matriarcale che è riuscito a farle avere una personalità in grado di affermarsi a prescindere dagli uomini. Non è tuttavia la storia di molti nel suo partito, non è la storia di molti e molte in tutto il paese, cresciuti in un sistema e una famiglia in cui l’uomo la fa “da padrone”.
E allora Perina ci ricorda che oltre formazione scolastica serve “educazione politica e segnali incontrovertibili di distanza verso chi cavilla persino sull’espressione «femminicidi», negando la specificità di un reato che un’esperienza di sangue ci ha insegnato a riconoscere, o ancora si oppone alla ratifica europea della Convenzione di Istanbul al solo scopo di vellicare gli istinti maschilisti di una parte dell’elettorato”.
Per chi si sente di destra, di una destra per bene, l’equazione tra destra e patriarcato dovrebbe essere inaccettabile. La difesa dell’indifendibile. E quando il dibattito avviene in un momento così delicato per il peso mediatico del caso, la difesa della stronzaggine.
L’assassinio di Giulia è uno spartiacque dove ogni giustificazionismo dei violenti supera una linea insormontabile. Dove lo screditare i timori delle donne diventa inammissibile, perché “il dibattito sulla violenza maschile da ora in poi non sarà più teorico o ideologico: risulterà come cinquant’anni fa un dibattito sulla vita e sulla morte delle ragazze, e si dovrà decidere da che parte stare.”