Oltre all’incredibile resistenza di Zelensky e del suo popolo, c’è un’altra risposta che Vladimir Putin non si aspettava affatto all’indomani dell’invasione dell’Ucraina: unire l’Europa come non mai, e rafforzare la Nato che dopo la fine della Guerra Fredda sembrava aver perso la bussola. A dimostrarlo è il fatto che, davanti alla minaccia del regime russo, sempre più Paesi manifestano la volontà di aderire all’Alleanza Atlantica. Due su tutte, dopo una lunga tradizione di neutralità, sono la Finlandia e la Svezia.
Fa riflettere però che, mentre chi è a diretto contatto con la minaccia russa chiede di entrare nell’alleanza, una fetta non secondaria di chi nel patto atlantico c’è già se ne lamenti da anni e vorrebbe anche uscirne. “Preferiscono non irritare quel russo prepotente che si trova dalla parte sbagliata della Storia, ma dal lato giusto del gasdotto”, ha scritto oggi Massimo Gramellini sul Corriere della Sera. E ha ragione.
A segnare una svolta epocale (come l’ha definita il cancelliere tedesco Olaf Scholz “Zeitenwende”) è il 24 febbraio: c’è un prima e un dopo quella data. In Europa e nel mondo. Non è un caso se Putin, che ha sempre usato “l’allargamento minaccioso dell’Alleanza a Est” per giustificare l’aggressione in Ucraina, adesso evita l’argomento.
“L’obiettivo principale è aiutare le persone”, dice ora il presidente russo ai giornalisti, “siamo stati costretti a farlo”, perché “non potevamo più sopportarlo”, e dunque “uno scontro era inevitabile […] era solo questione di tempo”, insomma “non avevamo scelta, questa era la cosa giusta da fare”.
Ma le fantasiose narrazioni della propaganda del Cremlino lasciano il tempo che trovano: la verità è che proprio l’attacco ingiustificato e spietato di quello che in molti definivano lo “statista” Putin ha fatto comprendere a tanti il ruolo strategico della NATO, la garanzia che ha rappresentato per decenni nel mantenimento della pace in Europa, e il gioco sporco di chi per troppo tempo si è subordinato alla Russia per interessi economici.
Questa consapevolezza emerge dalla virata storica verso la Alleanza di Svezia e Finlandia, dalla compattezza dimostrata fino a questo momento dai Paesi membri, dalla decisione di accorciare i tempi per raggiungere quel 2 per cento di Pil in spese militari che per troppo tempo almeno nei Paesi europei è rimasta una richiesta americana inevasa.
C’è infine un altro aspetto da prendere in considerazione: si parla di costruire nuove basi permanenti dell’Alleanza nell’Est Europa, la Polonia e gli Stati baltici premono per un rafforzamento della presenza militare NATO sul fianco orientale e probabilmente questa decisione verrà approvata nel corso del vertice di Madrid di giugno.
Ecco perché Putin, adesso, gira alla larga dall’argomento Nato: paradossalmente sono proprie le sue (farneticanti) strategie e le sue azioni a rappresentare, oggi, il motore dell’Alleanza.
Un’ultima considerazione. Se abbiamo compreso di essere dalla parte giusta della storia, quella che combatte per difendere la libertà di un popolo, e nello stesso tempo abbiamo deciso che questa libertà non può essere subordinata agli interessi economici, è auspicabile che questa consapevolezza favorisca e acceleri anche il processo che porterà a una più forte e comune di difesa europea.