Dall’europeista Draghi alla sovranista Meloni: un salto nel vuoto per l’Italia

“Se un pagliaccio entra in un palazzo reale non diventa un re, ma il palazzo diventa un circo!”, recita un vecchio proverbio turco. E si può essere d’accordo, ma la democrazia funziona così: chi ottiene più voti vince. Inutile, oltre che anacronistico, dunque, dare dell’ignorante, xenofobo, fascista all’elettore che ha preferito tracciare una croce sul partito della leader di Fratelli di Italia Giorgia Meloni, che non è la sola ad aver vissuto una notte politicamente indimenticabile. Anche perché chi non accetta il trionfo alle elezioni di una persona con idee totalmente diverse dalle proprie finisce per passare essa stessa per essere poco democratica. Invece no, non si vuol cadere nel tranello: aver paura per le sorti del Paese (una parte ha scelto convintamente di andare avanti sul sentiero populista, ma un’altra no) e per la nostra Costituzione però è naturale.

Beh, questo è lecito, viste alcune esternazioni di quella che verosimilmente sarà la prima premier donna del nostro Paese. Il fatto che Piazza Affari abbia salutato al rialzo la vittoria netta della coalizione di centrodestra e il primato di Fratelli d’Italia, con lo spread tra Btp e Bund che ha reagito senza grossi scossoni, neppure tranquillizza. Perché sappiamo che la vera anima di FdI è quella che vuole “dare il diritto alle donne che pensano che l’aborto sia l’unica scelta che hanno, di fare una scelta diversa” o che avverte Bruxelles dicendo che “la pacchia è finita”. Ad attutire l’onda d’urto oggi non è stata, infatti, la finta mitezza di Meloni mostrata in campagna elettorale. A proteggerci è stato ancora lo scudo di quel civil servant che Conte, Salvini e Berlusconi hanno fatto cadere. A tranquillizzare l’Ue (e di riflesso gli Usa) il pensiero che Draghi possa lasciare al governo che verrà una bozza pressoché completa della manovra finanziaria; che sul fronte della politica estera nulla cambi, che Meloni segua la rotta tracciata dall’ex banchiere centrale.

Vedremo quel che accadrà. Intanto occorrerebbe riflettere sul perché l’Italia sia finita nelle mani della destra estremista. Una vittoria riuscita, lo ricordiamo, solo ed esclusivamente per l’affermazione di Giorgia Meloni, che, diciamolo pure, non ha incontrato troppe difficoltà sul suo cammino. Difatti Salvini ha poco da festeggiare, visto il risultato deludente della sua Lega, che non è da addursi al sostegno dimostrato al governo Draghi, come il segretario del Carroccio ha detto in conferenza stampa, quanto alle continue giravolte del Capitano. E c’è da scommettere che Fedriga e Zaia non resteranno in silenzio di fronte ad una debacle così netta. Berlusconi sorride sì, può tirare un sospiro di sollievo, ha evitato ancora una volta l’irrilevanza (ed è riuscito pure a far rientrare in Parlamento la sua giovane compagna, impresa non da poco). Ma evidentemente al Cavaliere alcuni non riescono proprio a resistere. Son quelle cose, che non ti spieghi.

Ma torniamo alle ragioni che hanno portato alla vittoria di Meloni, a cui va riconosciuto il merito di aver saputo parlare alla “pancia” del Paese. A spianare la strada all’unico partito di “opposizione” l’autosabotaggio del centrosinistra, con Letta che ha salutato mesi fa Giuseppe Conte senza mai dirgli veramente addio (come una che continua a spiare il profilo dell’ex senza guardare le opportunità che gli si fanno avanti). Ad aprire a Meloni le porte di Palazzo Chigi la mancanza di una valida alternativa, ossia una coalizione animata da sincere idee liberali ed europee, un progetto solido che portasse avanti il buon lavoro fatto finora dal premier uscente. Carlo Calenda ci ha provato ad andare oltre al bipopulismo, che ormai calza stretto alla nostra democrazia, ma il risultato è stato sotto le attese. Una ruota sola non può muovere il carro. La speranza ora qual è?

Beh, che non venga dispersa del tutto l’eredità lasciata da Draghi (che prima di uscire di scena, da fuoriclasse, ha convinto la Commissione europea a sbloccare la seconda tranche di fondi del PNRR destinata a noi). L’auspicio poi è che si arrivi ad una politica meno “assistenzialista” di quella che ha dominato l’ultima legislatura. La resurrezione del M5s non ci porta ad essere troppo fiduciosi in tal senso: sappiamo tutti che Conte ha vinto battendosi in campagna elettorale a colpi di reddito di cittadinanza e bonus a pioggia. Ma come si dice? “Quel che non avviene oggi, può capitar domani”.