“Questo governo di unità nazionale è nato per superare l’emergenza pandemica e applicare il Pnrr. La guerra in Ucraina non era nell’ordine delle cose. L’esecutivo non può decidere da sé, non ha un mandato politico. Vogliamo ascoltare e poter dire la nostra”.
Incalzato dalle domande di Alessandra Sardoni e Corrado Formigli, ieri sera a Piazza Pulita Giuseppe Conte è uscito allo scoperto. Ribadendo l’opposizione interna al governo Draghi e il no ad un nuovo invio di armi all’Ucraina, nonostante il voto favorevole di marzo e arrampicandosi sugli specchi relativamente al “mandato politico di Draghi”. “Votate o no un nuovo invio?” ha chiesto Sardoni ad un Conte che aveva esaurito le unghie per arrampicarsi sugli specchi dei suoi stessi sofismi. Messo alle strette da Formigli con un secco “Carri armati sì o no?”, a quel punto l’avvocato del popolo ha detto no. “No e niente armi pesanti. I carri armati non ci sono e non dobbiamo inviare armi più pesanti . – ha affermato Conte -. Dopo un terzo decreto sulle armi, su cui abbiamo già votato e che mi auguro non contenga armamenti più pesanti, vogliamo fare una riflessione? Se qualcuno ha l’ansia che abbiamo mandato poche armi, si sbaglia di grosso”.
Poi Conte è passato all’incasso per il voto favorevole di marzo. “Se Zelensky ponesse condizioni troppo stringenti, sarebbe un problema. Noi dobbiamo poter sostenere questo negoziato perché interessa l’Europa – ha aggiunto, senza mai nominare l’amico Putin e senza considerare che è il Cremlino che la pace non la vuole e neanche intende riaprire i negoziati -. Dobbiamo essere informati sui termini di questo negoziato. Ci siamo lasciati coinvolgere, seppur in maniera indiretta, e abbiamo diritto di essere edotti su un accordo che deve avvenire su basi ragionevoli”. Tuttavia di ragionevole nelle riflessioni di Conte c’è poco, oltre il proprio opportunismo.
Nel frattempo in Movimento è in subbuglio. C’è chi spinge per rompere l’alleanza con il Pd e togliere l’appoggio a Draghi e chi invece per andare avanti ma con una linea pacifista, chiedendo un nuovo passaggio in aula il 19 maggio. Sullo sfondo, ma neanche tanto, resta la vicenda Petrocelli, decaduto alla guida della Commissione Esteri, e per cui i pentastellati hanno avanzato il nome di Gianluca Ferrara, anche lui però ritenuto troppo filo Putin e anti americano. Conte ieri sera ha escluso che il M5S indicherà Ferrara per quel ruolo, in pole per il quale ci sarebbe l’ex capogruppo Ettore Licheri. Nel frattempo, in ogni caso, il governo Draghi va avanti per la sua strada. Anche Enrico Letta ha detto di non temere un possibile voto in aula sull’Ucraina, consapevole che anche nel M5S non sono tutti poi così sprovveduti da far mancare l’appoggi a Draghi. Il ritrovato fronte gialloverde cinque stelle-lega sembra tornare a dividersi, infine, anche sull’allargamento della Nato alla Finlandia, con Salvini possibilista e Conte in dubbio. Che faranno i due amichetti di Putin, alla fine si esibiranno nella solita retromarcia o stavolta si lanceranno davvero nel vuoto (senza paracadute)?