Tutte chiacchiere e distintivo. L’avvocato del popolo Giuseppe Conte, leader del M5S, è solo chiacchiere e distintivo, e se mai ce ne fosse stato bisogno il caso Petrocelli lo ha evidenziato chiaramente. L’ex presidente, poi rimosso, della Commissione Esteri del Senato, accusato a buon diritto di essere un sostenitore di Putin e dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, è stato espulso da Conte dal gruppo parlamentare dei 5 stelle. Ma non dal partito, da cui non è stato sospeso neanche dopo aver inneggiato alla “Z” simbolo della “operazione speciale” russa in Ucraina. Né Conte, dunque, né i probiviri pentastellati – Fabiana Dadone, Jacopo Berti e Riccardo Fraccaro – hanno preso alcun provvedimento contro il compagno Petrov. “Sono uscito dal gruppo parlamentare – conferma Petrocelli a Il Foglio – ma non ho ricevuto alcuna comunicazione ufficiale dal partito”. Fino a che non arriverà la sentenza del tribunale di Napoli, chiamato ad esprimersi sulle modifiche allo statuto, nulla si muoverà.
Ma l’affare Petrocelli è solo uno dei problemi dell’avvocato del popolo. Che entro il prossimo mese di giugno capirà se la sua leadership, insidiata all’interno e all’esterno del movimento, reggerà o meno l’urto di quello che decideranno i giudici di Napoli (che potrebbero congelare ancora lui e gli organi direttivi pentastellati) e, soprattutto, delle elezioni amministrative dove i grillini sono dati in caduta libera. Se il M5S deflagrasse come si pensa, allora le responsabilità ricadrebbero sull’ex premier. E sarebbero un più d’uno a chiederne la testa.
Non solo. Conte è da tempo impegnato nel fronte interno contro Draghi, e con la discussione sul decreto Aiuti in programma a metà giugno si potrebbe arrivare alla rottura definitiva, perché tale provvedimento contiene anche la realizzazione dell’inceneritore di Roma – che sarebbe la soluzione all’atavico problema dello smaltimento dei rifiuti della Capitale – sul quale i pentastellati so pregiudizialmente ma fermamente contrari. La tempesta di giugno sta per arrivare.