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Come estirpare quel cancro delle democrazie liberali chiamato astensionismo

È quello che una sana democrazia teme più di ogni altra cosa: l’astensionismo alle urne, che può essere un chiaro segno di protesta o peggio ancora di disinteresse; vale a dire la decisione di rinunciare a partecipare alla vita politica o a un determinato atto politico. In vista del referendum del 12 giugno questo timore c’è, inutile nasconderlo: per la validità la nostra Costituzione stabilisce che la proposta è approvata se hanno votato la maggioranza pari al 50%+1 degli aventi diritto al voto e se è raggiunta la maggioranza, 50%+1, dei voti validamente espressi. Secondo le previsioni l’affluenza domenica sarà bassissima. Un fatto allarmante per il nostro Paese, come ha spiegato chiaramente Franz Foti sull‘«HuffPost» in un lungo e interessante articolo dal titolo “Astensionismo, spina nel fianco della democrazia. Politica allo sbando”.

“Il rifiuto di recarsi ai seggi elettorali per farsi rappresentare nelle istituzioni è un fenomeno delle democrazie liberali, non è autoesclusione, ma semplice e voluta emarginazione politica. Nel nostro Paese comincia a diventare fattore preoccupante per l’assetto democratico della rappresentanza parlamentare e per l’esercizio della sovranità del popolo”, osserva Foti. E sono i dati a dimostrarlo: nel 1976 votava il 93%, mentre nel 1987 i votanti calavano all’89%. Alle elezioni politiche del 2018, l’astensione ha superato il 27% degli aventi diritto al voto. Nel corso delle votazioni regionali del 2019 e del 2020 l’astensione è stata del 41%. Al primo turno delle ultime elezioni comunali del 2021 nelle grandi città si sono toccate punte massime di astensione del 57%. Ed è un fenomeno non solo italiano: lo si è visto chiaramente alle ultime elezioni in Francia.

Ma perché? “Il cittadino non rappresenta più il perno della democrazia e lo stato viene vissuto come istituzione ostile, piegata agli interessi di un impresentabile sistema dei partiti che opera distante dal bene comune e dall’interesse generale”, scrive Foti. Come a dire il palazzo è una cosa, i problemi della gente comune ben altro. Ma è un problema quello dell’astensionismo che ha radici profonde: “Ricordiamoci che il 40% della nostra popolazione vive in condizioni di sofferenza esistenziale: marcate disuguaglianze; estensione della povertà; insostenibili divaricazioni di reddito; esclusione dall’accesso ai servizi fondamentali, a partire dalla sgangherata sanità; carenze di politiche industriali, agricole e dei servizi; ritardi nelle politiche energetiche e ambientali; declino della conoscenza e dell’istruzione; inesistenti politiche di genere e per le nuove  generazioni; inefficienza della pubblica amministrazione”, chiarisce Foti. È il vuoto che si è venuto a creare attorno alla parola democrazia; una voragine resa ancora più profonda da leader politici che hanno soffiato sul fuoco, approfittando del malcontento. L’unico modo per uscirne è rimettere al centro la sovranità del popolo e la sua rappresentanza. Tutto in maniera cristallina, trasparente.