Il caso di Valery Gergiev, il direttore d’orchestra già silurato dalla Wiener Philharmoniker per non aver preso le distanze da Putin, ci offre l’occasione per riflettere ancora una volta su una questione vecchia come il mondo: il rapporto tra cultura e potere. Il nuovo scenario geopolitico, i bombardamenti a Kiev e la fuga dei profughi dall’Ucraina non sono abbastanza per sollevare dal suo incarico un artista che in passato ha manifestato simpatia per un leader discutibile come lo zar? Non è forse il minimo sindacale ripudiare la guerra con fermezza, togliendo di mezzo ogni ambiguità? Gli interrogativi sono di rigore, leciti. Come lo è l’aut aut del sindaco Beppe Sala (che del cda della Scala di Milano è presidente), che non ha finora sortito gli effetti sperati. Il maestro Gergiev, in realtà, ha tempo fino al 5 marzo, data del prossimo spettacolo.
Sostituire Gergiev porterebbe con sé tutta una serie di conseguenze, non si tratterebbe solo di un cambio di bacchetta per “La dama di picche” di Ciaikovskij. Tutto il cast è prevalentemente russo e non si può escludere che dietro al maestro possano accodarsi gli altri connazionali. Guardando ad una prospettiva più ampia l’interruzione dei rapporti di lavoro con Gergiev potrebbe voler significare anche lo stop di ogni rapporto della Scala con il teatro Mariiskij di San Pietroburgo. Gergiev ha sempre dichiarato che «la musica è la sola cosa che conta» e di non aver fatto mai discriminazioni «se non in base al talento». Dichiarazioni che tout court sembrano dire: l’arte è una cosa, le questioni politiche un’altra. Ha ragione?
La presa di posizione di un altro artista, invece, Semyon Bychkov, direttore musicale della Filarmonica di Praga, suggerisce l’opposto: «Non possiamo restare in silenzio guardando la storia che si ripete come nel 1956, 1968 e oltre. I portatori di morte e distruzione devono essere considerati responsabili e respinti». Il dibattito sulla funzione dell’arte, sulla relazione tra intellettuali e potere è aperto. Intanto l’attivista Lev Aleksandrovich Ponomaryov ha lanciato una petizione su Change.org in cui condanna l’operazione militare di Putin. Un appello quello degli intellettuali moscoviti diventato virale nella stessa Russia.