“Il Movimento 5 Stelle si oppone all’invio di aiuti militari e controffensive che esulino dal perimetro del legittimo uso della forza per difendersi secondo l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”.
Estrapolare il concetto dei suoi discorsi è sempre impresa faticosa: dice tutto e non dice niente. Si crede abile nell’ars oratoria ma non lo è affatto e, ogni volta, viene sempre fuori un gran casotto. Alla fine, quando questo benedetto concetto viene fuori, c’è da mettersi le mani dei capelli.
L’ultima uscita dell’avvocatissimo Giuseppe Conte riguarda l’illegittimità di colpire un territorio aggressore. Tradotto in termini spiccioli: per il presidente del Movimento 5 Stelle, l’Ucraina non può colpire la Russia, ma deve difendersi solamente all’interno dei propri confini. Condizione, questa, sancita dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che lui stesso cita – per giunta – ma di cui non ha evidentemente capito il senso.
La dichiarazione di Conte fa seguito all’intervista che il viceministro della Difesa britannico, James Heappey, ha rilasciato al “Guardian”. “E’ legittimo per l’Ucraina colpire il territorio russo e farlo anche con le armi fornite dalla Gran Bretagna, ha detto Heappey. E apriti cielo: puntualmente Putin e gli avvocati nostrani hanno cercato di mettere sullo stesso piano la logica del diritto e quella della pura violenza, “equiparando di fatto le pretese (inaccettabili) dell’aggressore e quelle (inoppugnabili) dell’aggredito”, scrive oggi Vittorio Emanuele Parsi su Il Messaggero.
“Con buona pace dell’avvocato Conte – aggiunge Parsi nel suo editoriale – il diritto all’autodifesa si esercita anche con le basi da cui parte l’aggressione e in un nessun modo il territorio dell’aggressore può essere considerato un santuario tenuto indenne dal diritto alla legittima difesa da parte dell’aggredito. All’argomentazione giuridica, Mosca ha replicato, come sempre, con quella della forza, ritenendosi autorizzata a colpire per rappresaglia il territorio della Nato da dove transitano (si noti: non da dove vengono attivate) le armi destinate agli Ucraini”.
Le dichiarazioni che arrivano da Londra sono sempre più in linea con quelle di Washington: all’interno del campo transatlantico, la relazione speciale anglosassone si ripropone solida proprio nei momenti di più forte crisi internazionale. Come ora, di fronte alla guerra scatenata da Putin nel cuore dell’Europa.
E, adesso, c’è chi si domanda se Stati Uniti e Gran Bretagna non aspirino solo a logorare la potenza russa, ma anche la coesione europea; ovvero auspichino una Russia fiaccata militarmente e un’Europa indebolita politicamente.
“Ritengo che una simile preoccupazione costituisca un clamoroso abbaglio”, scrive Parsi che spiega come, invece, un’Europa forte e unita militarmente, politicamente ed economicamente è nell’interesse di Washington e di Londra, quanto lo è per Bruxelles, Roma, Parigi e Berlino “per vincere la sfida epocale contro i dispotismi russo e cinese, cruciale per salvaguardare la libertà, il bene più prezioso per ogni donna e uomo”. La compattezza di un solido Occidente, insomma, è decisiva per vincerla, questa sfida.
Tuttavia, Parsi ammette che, a volte, l’esasperazione dei toni può costituire una difficoltà per la coesione dei Paesi Ue. Anche con la complicità della propaganda del Cremlino, infatti “alcune opinioni pubbliche appaiono spaventate. Ci sono partiti politici e spezzoni di classi dirigenti – spiega Parsi – che hanno avuto rapporti fin troppo stretti con la nomenklatura putiniana, traendone benefici finanziari e non soltanto”. E’ quindi fondamentale, per Parsi, non prestare il fianco alla disinformatia putiniana.
“Al vertice di Ramstein, gli oltre quaranta ministri della Difesa della coalizione che sostiene militarmente l’Ucraina hanno concordato di aumentare quantitativamente il loro sforzo. E’ un risultato positivo, ma – mette in guardia Parsi – non illudiamoci che la questione della solidarietà anche militare all’Ucraina sia un risultato acquisito una volta per tutte”. E ha ragione.