“La Uefa sta monitorando in maniera costante e da vicino la situazione” si legge in una nota diffusa oggi dalla Confederazione calcistica europea dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ma “al momento, non ci sono piani per cambiare” la Gazprom Arena come sede della finale della Champions League, prevista per il prossimo 28 maggio a San Pietroburgo.
La nota della Uefa è uscita dopo i rumors circolati sulla stampa inglese che davano per certa la sostituzione, e la presa di posizione di una parte del mondo politico di Londra che ha chiesto la “immediata” sostituzione di San Pietroburgo. Qualcosa si muove anche all’Europarlamento, con la lettera promossa dall’europarlamentare tedesca von Cramon-Taubadel al Presidente della Uefa.
In attesa di segnali più concreti da parte delle autorità calcistiche europee, e considerando che lo sport oltre ad essere un volano economico è anche un formidabile strumento simbolico, a muoversi in autonomia saranno i singoli Paesi europei? Magari quelli più minacciati dalla Russia di Putin. La Polonia, ad esempio, potrebbe boicottare la sua partecipazione agli spareggi per la Coppa del Mondo previsti in Russia il prossimo 24 marzo.
In ogni caso viene da chiedersi se decisioni del genere, insieme alle sanzioni economiche minacciate dai Paesi occidentali nei confronti della Russia, siano strumenti sufficienti per far capire a Putin che l’aria è cambiata. Sempre che le sanzioni poi si concretizzino, vista la indecisione odierna della UEFA. Se non si riesce a colpire gli interessi del Cremlino nemmeno spostando una partita di calcio, che è il minimo sindacale, quale reazione militare potremo aspettarci dai Paesi europei nel caso Putin decidesse di proseguire la sua avanzata in Ucraina?