«Io nasco giornalista e morirò giornalista, questo è». È sempre un piacere parlare con Andrea Cangini, ex direttore del «Resto del Carlino» e di «QN Quotidiano Nazionale», capogruppo di Forza Italia nella VII commissione Istruzione pubblica e Beni culturali. Autore di libri come «Fotti il potere: gli arcana della politica e dell’umana natura», «L’onore e la sconfitta» e il più recente «Coca Web. Una generazione da salvare», che raccoglie una serie di relazioni divenute un unicum votato al Senato della Repubblica. Un volume in cui si parla degli effetti devastanti del digitale sui giovani. Abbiamo parlato dei temi del giorno, quelli che più ci preoccupano: la guerra in Ucraina, la crisi dei partiti, quella ‘malattia’ della democrazia che va sotto il nome di populismo.
D: Qualche tempo fa Lei ha detto in una trasmissione tv che il centrodestra così com’è non è credibile. Lo pensa ancora?
«Lo dico da quattro anni in realtà. Salvini è una cosa, la Lega è un’altra. Matteo Salvini non ha le qualità dell’uomo di stato. Dal mio punto di vista, l’ha dimostrato quando ha ricoperto le funzioni di ministro dell’interno e di vicepresidente del consiglio. Non ha la capacità o la voglia di fare il leader della coalizione, ha una naturale inclinazione alla demagogia. Salvini interpreta i voti non come un mezzo per risolvere i problemi concreti, ma come un fine. Ed è un atteggiamento distruttivo: danneggia lui e di conseguenza guasterà tutto il centrodestra. Prima quello che dicevo veniva condiviso dai leghisti, persino dai salviniani. Sa che facevano? Allargavano le braccia, perché Salvini prendeva comunque voti. Ora il trend è in discesa e quindi questa questione dovrà essere affrontata. Il centrodestra non è un’unita politica. Per me la cultura di destra deve essere, in primo luogo, realismo spinto, senza alcuna inclinazione al populismo».
D: A proposito di demagogia e populismo, voglio leggerle un suo tweet datato 25 febbraio. Lei ha scritto: «Mentre ascolto #Draghi informare il Senato sulla guerra in #Ucraina penso a quale sarebbe stata la posizione dell’Italia se #Putin avesse attaccato non oggi ma tre anni fa, ai tempi del primo governo Conte. Rabbrividisco e tiro un sospiro di sollievo». Che pensa di Giuseppe Conte?
«Io giudico gli atti politici. Conte è evidentemente un camaleonte. Non ha alcuna capacità politica; al confronto Di Maio è un gigante. È diventato col tempo un gigante. Lo dimostra tutta la polemica sulle armi all’Ucraina. Nel primo governo Conte le spese militari erano di 21 miliardi di euro; al secondo governo Conte 24 miliardi. La ministra grillina della Difesa Elisabetta Trenta aveva assicurato che avremmo portato gli armamenti al 2%. Questa era la linea di Conte capo del governo. Ora però il leader del M5s ha letto nei sondaggi che la maggioranza degli italiani è contraria alla guerra (e grazie chi è che è favorevole?), all’invio di armi, ed ecco abbiamo il Conte pacifista. Una cosa veramente vergognosa. La politica estera è la massima espressione della politica, è una cosa seria.
D: Che mi dice invece del presidente del consiglio Mario Draghi?
«Guardi, io credo che Draghi sia stato un dono del cielo. Non mi sfuggono i suoi limiti, Draghi non è abituato alla dinamica politica e non è facile entrarci. Ma di sicuro l’Italia con lui è considerato un paese affidabile, nel quale riporre fiducia. Persino autorevole. Questo, diciamolo chiaramente, non è mai accaduto prima. Già dai tempi di quegli intellettuali europei, gli Stendhal e le Madame de Stael che nei loro diari scrivevano sempre le stese cose: Italia paese splendido, ma abitato dagli Italiani, incapaci di governarsi. La reputazione del nostro Paese, dobbiamo ammettere, è sempre stata questa. Con Mario Draghi qualcosa è cambiato. La reputazione in un mondo globalizzato è la vita e morte di uno stato, è fondamentale. Attira investimenti, capitali, incide sui processi decisionali a livello europeo. L’ottusità politica del governo gialloverde è stata quella di mettersi fuori dell’Europa, dalla Nato quasi addirittura; di occhieggiare la Cina e trascinare questo paese lontano dall’Occidente. Come se l’Italia fosse una potenza, come se fossimo un impero. Beh, non siamo né una potenza né un impero. E se quella linea fosse proseguita, noi avremmo soltanto potuto scegliere di quale impero essere colonia, della Russia o della Cina. Non è una prospettiva auspicabile, assolutamente».