Calenda e Renzi ora vadano oltre: puntino alla nascita di una federazione

Ma davvero si pensa che il contesto sociale favorevole alla nascita del partito del liberalismo italiano, effettivamente equidistante da destra e sinistra per rappresentare la reale alternativa al bipopulismo sovranista, al fine di rivolgersi con credibilità a tutti gli elettori, nessuno escluso, e la risvegliata voglia di partecipazione per essere attori di un reale processo costituente, possa essere circoscritto nella semplice fusione di Italia Viva e Azione? Lasciando stare il valore asettico della percentuale, i due milioni e centomila voti non sarebbero venuti se sarebbe stato percepito che il nuovo inizio non era altro che la fusione di due partitini alquanto piccoli che se non mettevano in campo l’esperienza elettorale comune avrebbero rischiato di fare la fine di +Europa. Semplicemente questo è ciò che gli elettori non hanno votato. Oggi è palese che Azione e Italia Viva hanno modificato la visione e l’avvio del processo costituente per la nascita di un nuovo soggetto politico capace di andare oltre i confini dei vecchi steccati non è più all’ordine del giorno. L’avvio di una fase federativa che porti alla fusione in un unico partito di Italia Viva e Azione è un’altra cosa rispetto alla costituente. Le due cose non sono uguali ne tantomeno compatibili dove la prima esclude la seconda.

Non ci sono scorciatoie, aprire la fase costituente di un nuovo soggetto politico presuppone lo scioglimento dei partiti che lo generano, non la loro fusione, se vogliamo coinvolgere un pubblico ampio, ben oltre il perimetro dell’esistente, coinvolgendo persone con esperienze e provenienze diverse per partecipare all’elaborazione della visione e così concorrere alla determinazione della leadership più coerente col progetto politico. Inutile girarci intorno la federazione, la successiva fusione, significa l’esclusione del cittadino elettore senza appartenenza e che blinda le classi dirigenti attuali in special modo quelle locali. Sentimento umanamente comprensibile ma politicamente deleterio. Ma non è solo un problema di visione, è anche di linguaggio politico che corrisponde, non può essere diversamente, alla cultura politica che ne sta alla base. Non si riesce, quando si fa riferimento al nuovo soggetto politico, a definirlo semplicemente liberale ma parte tutta una sequenza di aggettivi in supporto: popolare, riformista, patriottico, repubblicano e chi più ne ha più ne metta, sembra di vivere in una catena di Sant’Antonio, ma che tolto l’aggettivo liberale è come guardare un vecchio film in bianco e nero. Lo stesso film in bianco e nero è quando si cerca di spaccare il capello in quattro nel definire il termine liberale che allora si vuole progressista, classico, conservatore e addirittura socialista.

Lo stesso termine democratico è pleonastico. Si fatica a prendere atto che davanti allo scontro di civiltà tra capitalismo libertà e democrazia e anti capitalismo illibertà e dittatura , davanti alla società libera aperta nuovamente sotto attacco dal totalitarismo: ieri fascismo, nazismo, comunismo, oggi fondamentalismo islamico, putinismo, il discrimine dominante, ma si potrebbe anche dire l’unico vero discrimine, è tra ciò che è liberale e ciò che liberale non è e cioè il populismo sovranista come il fanatismo liberista, ma anche il pensare che dalla globalizzazione bisogna comunque difendersi quando non ci sono alternative al fatto che l’Italia o riesce a competere nel sistema globale o muore. Alle elezioni ha vinto il populismo sovranismo che ha eletto la stragrande maggioranza del parlamento, poi al suo interno il binomio destra sinistra ( Almirante, Berlinguer) serve ad individuare la componente maggioritaria ma nulla più. Questo è ciò che è uscito dalle urne, piaccia o meno e quindi tocca a loro il governo e via dicendo.

In questo senso il terzo polo, prima di tutto, deve superare la logica della terzietà e definirsi semplicemente “l’altro polo” rispetto al bipopulismo sovranista dominante e che in pratica rappresenta l’unica opposizione al di là di cosa pensa e dice il PD, verso cui bisogna smetterla con l’atteggiamento tendente a redimerlo, il quale non è altro che parte integrante del populismo sovranista in continuità con cultura della sinistra cattocomunista novecentesca. Centrale quindi non è il chiacchiericcio quotidiano che fa tanto audiens nelle trasmissioni televisive, sui giornali, sui social. Centrale è rispondere alla semplice domanda: quale alternativa che, in base alle regole dell’alternanza, si candida alla guida del Paese alle prossime elezioni?

L’alternativa che non c’è, che va costruita, cioè porre mano al nuovo soggetto politico liberale.
Renzi e Calenda senza indugio ulteriore diano inizio alla fase costituente in coerenza con quanto espresso in campagna elettorale. La coerenza è il vero metro di misura per quantificare l’affidabilità politica ed è questa che determina il consenso per una forza non ideologica che si basa sulla competenza e il pragmatismo. La semplice fusione è sinonimo di inaffidabilità politica. La federazione può essere condivisa se essa corrisponde al criterio di una uguale responsabilità nell’organizzare il processo costituente il quale, inevitabilmente, ha bisogno anche di sperimentazione nelle modalità di coinvolgimento dei cittadini.