“Se c’è una cosa acclarata è che il patto con il Partito democratico era vantaggioso come posti. Le motivazioni della rottura non sono lì. Semplicemente ho provato a tenere il centro e sinistra su una linea coerente. Letta ha scelto il tutti dentro. Dovevo provarci. Nessun rimpianto”. Carlo Calenda sui social torna a parlare oggi della scelta, annunciata ieri, di rompere il patto Azione-Pd a causa della deriva sinistra presa volontariamente dal partito di Letta, che di fatto imbarcando Fratoianni, Di Maio e Bonelli sconfessa un programma fondato sull’Agenda Draghi. “Eravamo anche disponibili a veder aderire Fratoianni e co., ma le regole erano chiare tra di noi – spiega ancora Calenda -. No dichiarazioni contrarie a quanto appena firmato, no patti contrapposti. Perché altrimenti sarebbe uscita una coalizione manicomio. Letta e Bonino sapevano che così avremmo rotto. È incredibile quanto poco il Partito Democratico abbia imparato dall’esperienza dell’alleanza con i 5S e prima Bertinotti e Turigliatto. Sono sempre lì. Ed è ancora più incredibile che tutti i cosiddetti riformisti del Pd davanti a questa alternativa non abbiano detto una singola parola. Se avessi accettato senza fiatare la destra avrebbe vinto a tavolino e Azione sarebbe morta. Mentre abbiamo bisogno di un’alternativa riformista. Se c’è una cosa che ho capito è che non c’è alcun modo di staccare il Pd dal populismo”.
Per Calenda, Letta ha dimostrato di nuovo di non avere coraggio. “Io penso che lui si sia trovato di fronte a un bivio che il Partito democratico ha affrontato tante volte nella sua storia, quello tra una scelta riformista o un’alleanza in cui mettere tutto e il contrario di tutto – attacca ancora Calenda dalle colonne del Corriere della Sera -. Alla fine ha scelto questa seconda strada. E questo è stato l’errore di Letta. Il Pd non ha il coraggio di rappresentare i socialdemocratici: deve avere dentro i populisti di sinistra. Una cosa per me inspiegabile. E così facendo in questa legislatura si sono suicidati”. E poi ancora: “Il Pd poteva scegliere tra fare l’ammucchiata ‘contro’ e fare un progetto politico serio, alla fine ha scelto l’ammucchiata contro – conclude – . E l’ammucchiata contro perderà. Non solo: non darà mai un’alternativa agli italiani. Cercare di mettere insieme tutti gli ex 5 Stelle possibili e immaginabili, noi, Fratoianni, Bonelli, è un’operazione che non puoi spiegare agli italiani. Non puoi spiegare che per difendere la Costituzione fai un patto con gente con cui sai che non governerai mai. Nessuno può comprenderlo: questa alleanza sarebbe stata l’Unione di Prodi in formato Bonsai. Una coalizione del genere non avrebbe portato gli italiani al voto. Avremmo avuto tanti astenuti e saremmo stati sconfitti pesantemente dalle destre. Ma la scelta di regalare il Paese alle destre l’ha fatta Enrico Letta quando si è seduto con Fratoianni e Bonelli, prima, e con Di Maio, poi, per costruire una coalizione che nessuno nell’orbe terracqueo può votare convintamente. E io penso che Letta si farà molto male”.
Chiarito da che parte intende stare, ora però cosa farà Carlo Calenda? Oggi parte la raccolta firme per presentare le liste, ma è chiaro che ora l’ex ministro non può che guardare a Italia Viva di Matteo Renzi. Che alla notizia della rottura del patto Azione-Pd ha esultato, intravedendo di nuovo la prospettiva del terzo polo. “Questo è l’ennesimo capolavoro di Letta: come sta facendo campagna elettorale per Meloni lui non la fa nessuno! Questa giornata, con lo strappo di Calenda, segna la Caporetto di Letta” ha scritto l’ex premier nella chat coi suoi parlamentari, a cui però ha chiesto profilo basso e nessuna dichiarazione. La trattativa, se mai ci sarà, sarà lunga, pure se dalla Lombardia arriva già un appello per la costituzione del terzo imperniato sull’accordo Calenda – Renzi, “per accogliere chi crede sia necessario realizzare l’agenda Draghi e non si riconosce nelle coalizioni di destra e di sinistra. Gli italiani devono esprimere il proprio voto, sicuri di scegliere programmi chiari e contenuti di governo, non forme di alleanze solo tattiche che si sfalderanno subito dopo il voto per le loro contraddizioni. Per questo e per la difficile situazione economica del Paese è necessaria la nascita di un Terzo Polo che, in maniera competente, autorevole e pragmatica, porti avanti il programma di risanamento impostato dal Governo Draghi. Una singola lista elettorale, senza se e senza ma”. L’appello è stato lanciato dall’ex sindaco di Milano e senatore, Gabriele Albertini, dall’onorevole Guido Della Frera di Italia al centro e da altri amministratori locali lombardi.
I due segretari di partito, Azione e Italia Viva, non si sono ancora incontrati, ma lo faranno. Con anche la disponibilità dell’ex premier a lasciare la leadership all’ex ministro, consapevole che Calenda possa catalizzare più consensi. Una concertazione difficile, dove molto influiranno i caratteri egocentrici di Matteo e Carlo e, soprattutto, le morse stringenti del Rosatellum: Calenda proporrà un’alleanza di liste, mentre è già noto che, per questioni di sbarramento, Renzi preferirebbe un listone unico. Mediazione non facile. Entrambi però sanno che un possibile cartello tra loro agiterebbe non poco il centrodestra, dove è diffusa la convinzione che Calenda senza Pd sia per loro più “pericoloso” perché attrattore dei voti dei moderati e dei popolari e liberali. E, fattore da non sottovalutare, insieme a Italia Viva azione non avrebbe bisogno di raccogliere le firme.
Calenda, in ogni caso, prima dello strappo, caldeggiato dalle transfughe di Forza Italia Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna, ha commissionato un sondaggio che lo vede attorno al 10% in caso di corsa solitaria (sarebbe stato sull’8% alleandosi col Pd). Una percentuale molto ottimista, ma realistica, che potrebbe arrivare al 15% in caso di accordo con Italia Viva. Un risultato che basterebbe per scompaginare i due blocchi di centrodestra e centrosinistra e per riportare, se sarà disponibile, Mario Draghi a Palazzo Chigi. L’obiettivo dell’ex ministro è questo.