Mentre assistiamo all’indecente disgregazione di un partito che quattro anni fa ottenne il voto del 32,6 per cento degli elettori, c’è uno scenario tutto nuovo, ma assolutamente auspicabile, che si apre davanti ai nostri occhi e di cui Enrico Letta, ritrovatosi all’improvviso privo dell’alleato privilegiato e quindi di una linea, potrebbe assumerne la regia. Perché, a bocce ferme, il problema non è è il futuro di Conte (e lo dimostra il fatto che Grillo stia facendo poco o niente per sostenere la confusa campagna anti-Draghi dell’avvocato e si limiti a mandare messaggi criptici), bensì la strategia di un Pd che si trova all’improvviso privo dell’alleato privilegiato e quindi di una linea.
Il campo largo era una formula pensata per indicare l’intesa politico-elettorale con i 5S, ma ora è tutta da rivedere – scrive oggi Stefano Folli su Repubblica.it – ecco perché Enrico Letta è il più angosciato. Ha bisogno che Draghi resti, ma anche che i 5S ritrovino un po’ di senso delle istituzioni. Ovviamente l’idea di recuperare l’asse con Conte sembra evanescente, a maggior ragione se i resti del movimento rotolassero verso un’opposizione radicale. Il partito più filo-Draghi alleato del più anti-Draghi? Suona poco probabile.
Di fatto, tuttavia, il Pd non ha una linea di ricambio. Di Maio e gli scissionisti sono affidabili (europeisti, atlantisti), ma hanno pochi voti. E sono tutti in cerca di sistemazione. Letta ha probabilmente una sola strada: assumere un profilo riformatore, non solo nel campo dei diritti individuali (ius soli, ius scholae, legge Zan) quanto soprattutto rispetto al rinnovamento economico, sociale, strutturale ancora ai primi passi. Il Pd può decidere di essere il partito che guida la riforma del Paese in chiave liberal-democratica.
Sarebbe in grado di farlo da solo o più facilmente con l’arcipelago dei gruppi centristi (+Europa, Calenda, Italia Viva) a cui la crisi ha restituito dinamismo. Qui c’è da superare la diffidenza ormai storica tra Letta e Renzi, le cui cause sono ben note. Sulla carta, non c’è da illudersi granché.
Ma ecco il quadro che potrebbe delinearsi, in vista delle elezioni: Draghi, come noto, non intende assumere una veste politica, ma nulla vieta a uno schieramento trasversale di ispirarsi a lui e di farne una sorta di “leader ombra”. La petizione di oltre mille sindaci dimostra che qualcosa si muove. Se il Pd assumesse con decisione la leadership morale del movimento pro-Draghi, avrebbe una bandiera più credibile del campo largo. E sarebbe competitivo con Giorgia Meloni.