Erano le 17.47 del 23 maggio del 1992. Voi mi direte ti stai sbagliando, l’attentato al giudice Falcone, a sua moglie, alla sua scorta è avvenuto alle 17.57 di quel funesto giorno. Si, ma io da quel pezzo di autostrada, dove ora ci stanno le steli a memoria funebre, ci passai dieci minuti esatti prima.
Avevo 27 anni l’età oggi di mio figlio più grande, tornavo dal matrimonio di una figlia di amici di famiglia ad Alcamo. Avevamo fatto presto, i matrimoni in Sicilia ti colgono quasi al tramonto ancora a pranzo. Ero seduto dietro, sul lato destro, quello sfigato perché non vedi il mare in quella direzione di marcia. Vedi la montagna, la montagna con la casetta bianca dove, lassù, in alto, c’erano almeno due uomini, dal DNA sulle sigarette ritrovate su quel luogo. Io forse li ho guardati, ma non li ho visti, troppa distanza, nonostante avessi allora dieci decimi. E forse loro hanno visto me, perché con il binocolo osservavano tutte le macchine. Aspettavano con ansia crescente, suppongo, il passaggio di una particolare autovettura, quella di Giovanni Falcone. Io non immagino i killer come quelli dei film, freddi, imperturbabili. Li immagino ansiosi, nervosi, insicuri, seppur esperti di morte.
Uno degli uomini che forse ho guardato su quella montagna era Giovanni Brusca, oggi a fine pena. La sorte poi sembra giochi destini incrociati, dopo qualche anno ci ho avuto a che fare, sono stato nominato amministratore giudiziario delle sue imprese intestate a prestanomi.
Arrivammo a casa e subito squillò il telefono. Mio padre rispose e si agitò. Era il responsabile di produzione della Rai in Sicilia, e doveva correre in ufficio ci disse, c’era stato un attentato contro un magistrato sulla strada per Punta Raisi. Io mi incollai al televideo, internet non c’era, e accesi la televisione. Avevo avuto un segnale che il mondo stesse stravolgendosi qualche mese prima, avevano ammazzato Salvo Lima.
Il mondo che conoscevamo sarebbe mutato per sempre quell’estate. Mi dovevo sposare, avevo appena cominciato a lavorare per l’IBM dopo la laurea, c’era caldo e sentore di sangue quell’estate.
Giovanni Falcone, che aveva più o meno l’età di mio padre, che per fortuna è vivo e vegeto, non c’è più. Cosa Nostra, la sua nemica, l’ha sostanzialmente abbattuta, ma la cultura mafiosa, la cultura del privilegio e del sopruso è scomparsa?
Un sondaggio di Ipsos per la fondazione Falcone ci da un dato che impressiona. Per il 40% dei giovani la mafia sembra di moda, di tendenza. Falcone, il suo metodo, le sue intuizioni geniali hanno funzionato, ma la società italiana, lo Stato non è arrivato alla sua altezza. Quella di un leale e assoluto servitore di una Costituzione ancora da realizzare.