Si intitola “Brigate Russe. La guerra occulta del Cremlino tra troll e hacker” (Ledizioni), l’ultimo libro di Marta Federica Ottaviani, nota giornalista che collabora con il quotidiano «L’Avvenire» e diversi think tank, fra cui Aspen Institute. Dopo il successo di “Il Reis, come Erdogan ha cambiato la Turchia”, con il quale si è aggiudicata il Premio Fiuggi Storia, l’uscita in gennaio di un volume che illustra come Mosca sia riuscita ad influenzare alcuni grandi conflitti e appuntamenti internazionali attraverso attacchi hacker ai danni di molti Paesi europei e legioni di troll al soldo del Cremlino, che operano per accrescere la popolarità di Putin e screditare gli oppositori. L’obiettivo quello di far filtrare la versione dei fatti russa, ribaltando la realtà, anche attraverso una galassia di media legati allo zar e al suo cerchio magico.
Perché negli ultimi anni abbiamo sentito parlare sempre più di troll e bot russi? Cosa sono e quale strategia nascondono questi attacchi informatici? L’avvento al potere di Vladimir Putin, nel 2000, come spiega Marta Federica Ottaviani, ha aperto una nuova fase nella storia della Russia, portando il Paese a nutrire maggiori ambizioni nell’arena internazionale non più sostenibili con le vecchie strategie. La cosiddetta ‘Dottrina Gerasimov’, che prende il nome dal Generale che l’ha teorizzata, è il punto di partenza della guerra non convenzionale che vede come strumenti principali internet, le nuove tecnologie e i social network. Una guerra occulta, che si combatte anche in tempo di pace e che ha, fra i suoi obiettivi, la manipolazione dell’opinione pubblica e l’uso dell’informazione come arma a largo spettro.
“Brigate Russe” è un saggio divulgativo molto interessante per provare a comprendere questa dolorosa guerra cominciata lo scorso 24 febbraio. Il risultato del volume è un’operazione accurata, lontana da esagerazioni. «Ho lavorato sui documenti, ho letto gli scritti del generale Valerij Gerasimov, ho parlato con persone che se ne occupano da anni. La situazione è questa e la stiamo sottovalutando, anche perché si approccia ai social in maniera irresponsabile», ha spiegato la giornalista in una recente intervista. Il fatto che l’opinione pubblica non abbia creduto alla armi di distruzione di massa come pretesto degli Usa per la guerra in Iraq, ma che sia permeabile alla propaganda sull’Ucraina, l’autrice lo giustifica così: «È il paradosso di Popper. Si è tolleranti nei confronti di chi tollerante non è. E intolleranti nei confronti di un Paese come gli Stati Uniti che certo non è perfetto, ma dove i giornali non vengono chiusi, i dissidenti non vanno in galera e non rischiano di morire avvelenati».