Modernità solida, liquida e… gassosa
Il 2 maggio scorso Amazon ha comunicato che rimborserà le spese di viaggio sostenute dalle proprie dipendenti per le interruzioni volontarie di gravidanza fino a 4.000 dollari. Molti si sono indignati ed hanno manifestato stupore. In realtà la policy dell’azienda americana si inserisce perfettamente nel contesto dei tempi, contesto che occorre ancora una volta chiarire per non venir travolti da cambiamenti che in modo fluido e sotterraneo filtrano, tracimano e spesso non sono facili da inquadrare. I processi ora sono così veloci che spesso non si ha il tempo per riflettere, trovando facile conforto nel pensiero unico.
Richiamando ciò che scrisse Augusto Del Noce nel 1974 e, dopo, su fronti diversi, Zygmunt Bauman, noi siamo da tempo usciti dalla modernità solida, ove diritti ed obblighi si basavano sulla consuetudine e che si fondava sul meccanismo del ritardo della gratificazione, sulla procrastinazione. Nell’epoca dei nostri padri occorreva investire anziché distribuire, risparmiare o spendere; lavorare anziché consumare. La procrastinazione o l’attesa ha costruito una società basata sull’etica del lavoro, quella in cui mezzi e fini s’invertono finendo per premiare il lavoro fine a se stesso, estendendo il ritardo all’infinito e tuttavia mantenendo una volontà di ricercare modelli e regole al vivere comune.
Anche a causa della frustrazione del ritardo della gratificazione (che spesso diventava anche impossibilità si sentirsi gratificati), è andata in crisi la convinzione che il percorso avesse un fine, che uno stato di perfezione fosse raggiungibile domani. Anche a causa dell’altro neo della modernità solida (e cioè della burocrazia) è sorto il desiderio di deregolamentare e privatizzare tutto.
Il percorso si è quindi pian piano modificato e noi ci siamo lentamente trasformati da produttori a consumatori. Smantellata la grande fabbrica, l’icona è diventata la produzione leggera che può esser delocalizzata con un clic.
La comunità è diventata il consumo e l’unità di misura è divenuto l’individualismo antagonista ed edonista in cui gli uomini nuotano senza una missione comune. Cambiando i parametri e passando all’estetica del consumo, il messaggio martellante è stato quello della negatività dell’attesa: il ritardo non deve esistere ed il mondo è un immenso campo di possibilità, di sensazioni sempre più intense che devono però esser colte subito e rapidamente.
E’ quindi diventato un principio inderogabile la velocità e l’estensione dei mercati ove si può realizzare il consumo, il cui simbolo è stato il grande centro commerciale, dove i prodotti sono offerti in abbondanza, esibiti con il gioco dei colori, delle luci e degli specchi, dove nulla è lasciato al caso, perché il neuro marketing studia, con i mezzi più sofisticati della attuale tecnologia, fino al fondo emozionale subconscio, le soluzioni più efficaci per indurre all’acquisto. Oggi è la piattaforma e tutto ciò che sta attorno, come Amazon.
Oggi, la pazzesca velocità di circolazione, di riciclaggio, di obsolescenza, di smaltimento e sostituzione crea profitto. Non la durata e l’affidabilità nel tempo del prodotto.
La nuova realtà mercantile ha cambiato in fondo il concetto di spazio e di tempo e poiché tutti gli spazi possono esser raggiunti in tempo reale lo spazio stesso non ha più senso. Chi non è in grado di muoversi rapidamente non vince ed è dominato. Ha valore sono ciò che è istantaneo.
Lo stupore (neppure però enormemente diffuso) per la notizia di Amazon fa però ben sperare che qualcuno incominci a ritenere che il modello che sembrava vincente forse ha alcuni volti negativi o, quantomeno, da valutare.
La globalizzazione ha determinato non solo la crisi della comunità ma anche la crisi delle sovranità locali ed in crisi sono sprofondate anche le ideologie ed i partiti. Il singolo si sente lontano da una comunità che lo può rassicurare. Si sente sempre più solo ed escluso.
Da notare, però, che tale esclusione sociale non si basa più sull’estraneità al sistema produttivo dell’individuo o sul suo non poter comprare l’essenziale, ma sul suo non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Possiamo costantemente vedere come l’uomo cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato oggi nel ruolo di consumatore. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l’essere umano. L’esclusione è la nuova forma di disuguaglianza e gli ascensori sociali si sono bloccati o sono inservibili.
In una tale società dei consumi il condividere la dipendenza da consumo è la conditio sine qua non della completa libertà individuale, della libertà di essere diversi, di avere un’identità. Il paradosso è che l’articolo prodotto in massa diviene lo strumento della differenziazione dell’individuo. L’identità può esser acquisita solo tramite il prodotto che tutti acquistano. Si conquista l’indipendenza arrendendosi. La vita desiderata tende ad essere la vita come la si vede in TV.
Il consumo è però individuale. Quindi l’individuo è lasciato solo a comprare ma gli sono offerte isole ordinate e tranquille: i nuovi templi erano sino a pochissimo tempo fa i centri commerciali, ove gli uomini non andavano per discutere o per comunicare o per socializzare ma per consumare. Ora sono le piattaforme, non-luoghi che offrono sicurezza. E sappiamo bene che libertà e sicurezza non vanno d’accordo.
Questa trasformazione epocale rischia di aver effetti devastanti anche sulla Politica, la politica con la P maiuscola e cioè quella incaricata di convertire i problemi privati in questioni pubbliche.
Oggi la politica è diventata un tiro alla fune tra la velocità di movimento del capitale e la lentezza dei poteri locali. Per il benessere del proprio elettorato questi poteri locali non hanno altre speranze se non implorare e sedurre il capitale a fermarsi ed a trattarlo con tutti i riguardi. Paradossalmente i poteri locali possono sperare di trattenere il capitale solo convincendolo che esso è libero di andarsene quando vuole. Un capitale che ha scaricato la zavorra dei macchinari pesanti e delle grandi fabbriche e che viaggia leggero con un semplice bagaglio a mano, un cellulare ed un PC.
La democrazia slitta, quindi, inesorabilmente in forme chiuse di governo, dove la classe politica, sempre più autoreferenziale, non si fa più carico dei problemi della società, né di quanti hanno più bisogno di aiuto e assistenza, con il risultato finale che la ricchezza si accumula nelle mani di poche persone destinate a diventare sempre più ricche a scapito di quelle destinate a diventare invece sempre più povere. Il che è reso possibile perché è mutata la relazione tra potere e servizio. Mentre, infatti, si è indebolita la dimensione del servizio, siè, all’opposto, potenziata quella del nudo potere. Con il risultato, ultimo, che i poteri si sono affrancati dal controllo della politica. La politica rischia di essere una pura delega, ove il cittadino consuma tutta la sua dimensione pubblica nel momento del voto con un semplice moto di adesione più che condivisione (salvo poi borbottare e lamentarsi in privato).
Lo vediamo orami da tempo: poche sono le leggi emanate dal Parlamento, il quale converte in legge decreti del Governo, spesso con l’imposizione della fiducia. Le stesse recenti riforme legislative sono deleghe che il Governo si prende da solo per il tramite del Parlamento.
In questo quadro il cittadino avverte chiaramente che il governo si muove e regna sul suo territorio ma che in realtà decide “altrove”. E ciò lo determina maggiormente a disertare ogni forma di impegno civile e politico locale nonché a rifugiarsi in un sempre più estremo individualismo.
E il potere (quello vero) non solo decide altrove ma esso regna senza un controllo coercitivo e senza sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono e collaborano al loro stesso controllo. Per governare, il potere può infatti utilizzare la forza (puntando sull’istinto umano di sopravvivenza, fisico o sociale) o il denaro (puntando sull’istinto umano di rapacità o avarizia): invece, oggi, esso ha imparato ad usare invece anche, e soprattutto, la seduzione. Le manipolazioni seduttive battono ampiamente forza e denaro.
In questi anni di pandemia e di evoluzione tecnologica tale trasformazione ha avuto una forte spinta grazie all’evoluzione della comunicazione. L’informazione ha assunto un valore immenso perché ha realizzato un sogno che sembrava impossibile: raccontare adesso ciò che sta accadendo in tempo reale.
In questo mondo di Google e Wikipedia le persone tendono poi sempre di più a chiedere non tanto una soluzione ma – spesso senza accorgersene – chiedono una selezione. In tal modo il processo cognitivo fa un salto poiché si salta la capacità di capire, scartare, definire e scegliere. Non vediamo più il processo abbagliati dalla velocità della soluzione e se va anche un pezzo della nostra responsabilità. D’altra parte, la responsabilità è faticosa poiché porta l’obbligo di fare delle scelte, giudicare e prendere posizione. La moderna mela che il serpente ci offre è questa: la soluzione che supera la decisione e la assorbe perché la contiene in sé.
Detto tutto questo, cosa fare? Per uscire da questo quadro desolante occorre a mio giudizio recuperare la vera essenza della persona che è un “essere in relazione” all’altro e all’intera comunità nella quale vive per potere così crescere. Occorre recuperare il valore della partecipazione alla vita pubblica per contribuire alla formazione di un nuovo umanesimo.
Occorre diffidare delle formule di felicità che premiano le scorciatoie, i progetti che possono essere portati a compimento in breve tempo, gli obbiettivi raggiunti subito. Occorre porsi degli obiettivi difficili e complessi, raggiungibili attraverso passaggi di ricerca e di impegno.
Occorre far leva sul principio di amore verso il prossimo, di autentica solidarietà e, soprattutto sul principio di speranza, visto come il vero antidoto alla paura ed a quel senso di incertezza che contraddistingue l’attuale epoca, soprattutto dopo i due anni pandemici. Oggi l’individuo non solo ha paura ma ha paura di aver paura, ottimo capitale per tutti coloro che ne vogliono trarre profitto per motivi politici o commerciali.
Diventa essenziale il dialogo, perché insegna ad imparare e perché, nel dialogo, non ci sono perdenti, ma solo vincitori.
Occorre continuare ad investire nella spiritualità ed in quella religiosità che vede gli uomini come facenti parte di un grande umanesimo e non di data base di clienti.
Noi di Buona Destra sappiamo bene la differenza fra il turista, ansioso di consumare esperienze senza conoscerne il senso, e il pellegrino, che, attraverso l’impegno, la riflessione e l’ascolto, cammina da un punto per raggiungere la sua meta.
Come si può vedere, oggi ci aspetta un ruolo decisivo. Occorre però assumerci la responsabilità di prendercelo.