Salvini scade a Natale, la Lega una polveriera e il Congresso non s’ha da fare

Sebbene abbia zero scuse per rinviare il congresso, Salvini se ne infischia: resta lì, nel suo bunker, in barba alla regole interne.

Lo Statuto della Lega per Salvini Premier stabilisce infatti che, dopo la prima fase d’intermezzo, il congresso venga “convocato dal segretario federali in via ordinaria ogni tre anni”. Cioè due in meno rispetto a quanto accadeva nella vecchia Lega, quella del Nord, dove però alla figura del segretario era affiancata quella del presidente. Con nome e cognome. “Il socio Umberto Bossi è il padre fondatore della Lega Nord e viene nominato presidente federale a vita, salvo rinuncia”.

Nel passaggio al nuovo partito nazionalista, gli uomini di Salvini ottennero la rimozione del patriarca, ma in compenso, quella vecchia di Roberto Calderoli ridusse la durata del mandato del capo unico: tre anni appunto, che vanno contati a partire dal 21 dicembre del 2019, giorno in cui a Milano fu celebrato il congresso fondativo della Lega salviniana. Lo spiega Valerio Valentini oggi su Il Foglio. Ciò significa, quindi, che entro il Natale verrà bisognerebbe, a norma di statuto, celebrare il rito che ridefinisce cariche e gerarchie del partito. Ma nel Carroccio sono già rassegnati all’evidenza dei fatti: non si farà in tempo. E poi, mangiato il panettone, ci sarà da pensare alle Politiche del 2023: figurarsi se Salvini accetta di aprire la partita congressuale nel bel mezzo di una campagna elettorale che, a suo avviso, dovrebbe portarlo a Palazzo Chigi. E pensare che c’è chi, anche nel cerchio stretto dei suoi consiglieri,gli suggerisce di giocare d’anticipo. “Convocalo subito, il congresso, così ti rafforzi e hai un”investitura piena per il voto”.

Lo Statuto glielo consentirebbe. Basta la semplice decisione del segretario federale perché si celebri il congresso “in via straordinaria”. Macché. Il capo della Lega non ci pensa proprio, al momento. E non perché tema davvero la defenestrazione: all’orizzonte non c’è né un vero antagonista pronto a sfidarlo, né un clima interno favorevole a un eventuale putsch. Il timore, spiega ancora Valentini, è legato alle molte complicazioni, anzitutto politiche, che l’indizione del congresso genererebbe. Anzitutto perché i congressi provinciali segnerebbero l’inizio delle grandi manovre. E dunque riposizionamenti, e dunque faide locali con focolai campanilistici che potrebbero magari divampare fino a mettere in discussione i fedelissimi del Capitano in qualche grande città, oppure, chissà, in qualche regione. Chi può dire come andrebbe a finire, ad esempio, una nuova conta in Veneto, tra le fazioni di Zaia, Fontana e Bitonci, proprio in quella terra di San Marco che manco a dirlo invoca da più tempo un congresso? E in Toscana, davvero Mario Lolini riuscirebbe a respingere l’assalto di ritorno di una Susanna Ceccardi che non ci sta a recitare il ruolo della meteora? Per non parlare del sud: una polveriera che Salvini controlla a stento. Meglio rinviare ogni cosa, Per questo Salvini resiste e fa spallucce. Ma la Lega resta immobile. Continuando a perdere consensi.