Tempo fa agli onori delle cronache ci andò, facendoci deprimere per l’inadeguatezza della politica, un tale avvocato Antonio Capuano da Frattaminore, che doveva relazionarci con Putin.
Un Carneade, anche se ex deputato italiano, con strani rapporti internazionali, consulente di Salvini. Oggi su tutti i social ed i media, campeggia la foto di tale Albino Ruberti. Chi è costui per imbarazzare la metà del cielo al potere a Roma?
È colui che viene filmato mentre intima ad un sodale “In ginocchio. Ti sparo”. Pistole non ce n’erano sia chiaro, il linguaggio però è quello, e le armi del potere pure. Il video è in circolazione sul web di questa Repubblica Social Italiana. Intanto il nome Albino. Nome che evoca la città primigenia, l’albalonga a cui tutto si deve inizio, e le lotte feroci, il bronzo ed il sentore del sangue che si vede nel Primo Re, il film di Matteo Rovere sugli albori di Roma. Un film crudo, sporco, come di sangue e merda sa questa storia.
Si parla di ipotetici ricatti tra sodali di partito, il PD del Potere Romano, quello che era finito in mezzo, insieme alla fiamma oggi evocata, nell’inchiesta di Roma Capitale, la Terra di Mezzo dove il potere non ha colore ma solo fetore.
Costui per usare un linguaggio così brutale, da Bufalo di Romanzo Criminale, sarà forse un allievo di Renatino, infiltratosi in qualche circolo di sinistra della Magliana,? E che poi magari avrà scalato la piramide, a suon di braccia e coltello, fino a diventare il Capo di Gabinetto del Sindaco della Città Eterna, che tutto il mondo invidia, chissà perché. Sarà forse un uomo grezzo, che viene da ridotte di quartiere, dove la legge del più forte si impara in famiglia, ma che poi però avrà studiato, magari con una borsa di studio del partito, per arrivare così in alto nella gerarchia. Capo di gabinetto di Roma, mica Sora o Frascati.
Il nome popolare Albino non ci tragga in inganno. Costui non è un figlio del popolo, non è andato a scuola alla Garbatella o al Corviale, non ha vissuto nella Suburra romana, tra piazze di spaccio e i Casamonica. Costui, che per un ormai scontato privilegio di casta è diventato il braccio destro del chitarrista ministro Gualtieri, er Sindaco, è il figlio di Antonio Ruberti, ex Commissario Europeo, ex Ministro della Ricerca, soprattutto ex Rettore della più grande istituzione universitaria italiana, la Sapienza di Roma. Ma a che serve sta Sapienza se il risultato è “Rocky”, figlio dalle fattezze lombrosiane, che invece di sistemarsi in un forse più consono posto, visto il linguaggio, all’Atac, diventa il funzionario più importante della Capitale del Paese?
E perché un figlio di Papà, come tanti altri oggi più di ieri, stava a quel posto a spartire la tavola del potere? È questa la mobilità sociale, lo ius scholae, la meritocrazia, in cui io faccio il deputato ma mia moglie pure, oppure io faccio il dirigente e la mia famiglia è sistemata a tavola pure lei?
Pare, ma sono retroscena dei giornalisti della Capitale, che l’alterco filmato sia dovuto a scambi elettorali, il famoso voto di scambio, polizze assicurative contro voti, tra diffide causate da vecchi tradimenti e sodalizi pelosi. Qualche anno fa considerando, dopo Mafia Capitale, l’olezzo che promanava dal PD romano fu incaricato l’ex ministro Barca di fare una ricognizione dello stato dell’arte. La relazione di Fabrizio Barca fu impietosa, da radere al suolo tutto e ricominciare. Non parliamo di una sezione di provincia di Caltanissetta, ma di Roma, il luogo da cui proveniva gran parte, tra cui il Segretario, della classe dirigente del PD. Il luogo dove nasceva e pasceva l’ideologo thai, Goffredone Bettini, il guru dell’Internazionale Giallorossa. Colui che aveva proclamato Conte come il nuovo Tony Blair del socialismo sostenibile.
Questo spaccato de “prendemosi” il Lazio, a marzo si va al voto, ci fa sentire come l’intimazione del video. Un paese in ginocchio come con l’ultimo imperatore Augustolo, prima dell’arrivo dei Barbari e la fine del sogno chiamato Roma.
Ps: ovviamente il video è stato tragicamente travisato, era una banale lite calcistica tra Laziali. Le dimissioni sono solo un atto d’amore, non richiesto, per non sporcare l’immagine di un partito sull’orlo di una crisi di nervi, tra candidature date ad amici e parenti e voti fuggenti.