Aerei e navi alla Colombia, l’imbarazzo di D’Alema e il futuro a rischio dei manager di Stato

Accertare le responsabilità, capire cosa sia realmente successo. Perché l’affare della vendita, vera o presunta, degli aerei e delle navi militari italiani alla Colombia si sta allargando e sta sollevando un polverone: dopo Massimo D’Alema, ex premier ed ex presidente Copasir, che avrebbe fatto da mediatore coi colombiani, ora nella bufera rischiano di finirci Alessandro Profumo, ad di Leonardo, e Giuseppe Giordo, manager di Fincantieri. E il rischio è che saltino le poltrone dei due manager di Stato, con Fincantieri che deve rinnovare il suo esecutivo a maggio prossimo e con quello di Leonardo in scadenza nel 2023.

A pretendere chiarezza in un’interrogazione al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, è il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, che dopo la diffusione dell’audio che ha registrato le parole dei presenti all’incontro, ha chiesto risposte su come sia nata e come sia stata condotta la trattativa. Perché ora la questione diventa politica, soprattutto per il ruolo svolto da D’Alema.

Facciamo un passo indietro. Leonardo, che sulla questione ha aperto un’inchiesta interna, aveva in piedi una trattativa ufficiale con un intermediario colombiano per la vendita di sei velivoli M346, come ricorda Repubblica. Trattativa nota a tutti i vertici della società, Profumo compreso, e anche ad ambienti del Governo italiano, in contatto con il governo colombiano. Dopo mesi di ricerca, come intermediario è stato poi scelto l’Aviatek group, promoter di Bogotà. Ma i criteri di tale selezione non sono stati chiariti, e su questo verte l’inchiesta interna di Leonardo e l’interrogazione di Fratoianni: chi e perché ha autorizzato una trattativa parallela?

Di questo contatto sarebbe stato protagonista Massimo D’Alema che, sempre a Repubblica, ha dichiarato di essere stato contattato da due presunti emissari del governo colombiano e di averli messi in contatto con Leonardo e Fincantieri, a titolo gratuito e senza investitura formale dalle aziende partecipate dallo Stato italiano. L’ex premier diessino ha raccontato di averlo fatto perché tali intermediari sarebbero stati clienti importanti di Ernst&Young, la società di consulenza di cui l’ex premier è presidente dell’advisor board. Questa attività ha portato Fincantieri alla firma del Mou, Memorandum of understanding, per la vendita di quattro corvette e due sommergibili, mentre Leonardo avrebbe solo valutato l’opportunità di business rappresentata dall’affare, firmando solo un accordo di confidenzialità con lo studio americano Robert Allen Law e fornito materiale che si può ricavare anche dal sito aziendale. “È molto importante che la parte colombiana sia rappresentata da uno studio legale – dice D’Alema nell’audio dell’incontro pubblicato dal fatto Quotidiano -. Per due ragioni: innanzitutto il contratto tra Robert Allen e la parte colombiana sarà sottoposto al controllo delle autorità degli Stati Uniti. La legge americana protegge l’attività legale, il rapporto tra il legale e il suo cliente con il segreto. Se invece è un contratto commerciale, non c’è segreto”.

L’imbarazzo delle società di Stato e di D’Alema per la poca chiarezza e per la presenza di molteplici soggetti nell’affare è evidente. Perché è stata avviata una trattativa doppia? Autorizzata da chi? E’ chiaro che ora i vertici di Fincantieri e Leonardo tremino, soprattutto in vista dei rinnovi delle cariche. Potrebbe, in realtà, rispuntare fuori anche l’idea di un’unica azienda dello Stato che si occupi di Difesa. Il destino di Profumo e Giordo dipenderanno dall’audit e da cosa risponderà il ministero all’interrogazione di Fratoianni. Per la reputazione di D’Alema, invece, la strada sembra segnata.