Mancava solo Enrico Letta e, adesso, è arrivato anche lui: serve una misura forte per uscire da una crisi senza fine e la soluzione è tagliare in modo profondo le tasse sul lavoro, in particolare per chi ha redditi sotto i 35 mila euro l’anno.
Qualcosa il governo Draghi ha fatto: a luglio c’è chi troverà 100 euro in più in busta paga ma non basta però per contrastare l’inflazione. Serve di più: è urgente e lo dicono tutti i partiti.
Il problema è trovare almeno dieci miliardi di euro per non sbancare ancora di più i conti pubblici; anche perché L’Europa ci ha già detto che siamo fuori da qualsiasi parametro: L’Italia è il grande debitore.
Ci si aspettava, da tempo, una riforma del welfare e si narra che Draghi l’abbia chiesta al ministro del Lavoro Andrea Orlando già i primi mesi del suo governo. Eppure la sta ancora aspettando. L’idea non è affatto quella di smantellare il sistema di garanzia per i più deboli, ma di razionalizzarlo, perché al momento si spendono tante risorse ma alle singole persone e alle famiglie ne arriva solo una parte. Il guaio è che al centro del welfare, nei decenni, non c’è la tutela effettiva ma la burocrazia. “Si creano strutture pachidermiche – scrive Vittorio Macioce oggi su Il Giornale – che non solo rendono difficile l’accesso a chi ha bisogno di assistenza, ma servono solo a sprecare risorse. La burocrazia è il buco nell’acquedotto, ma in questo caso fa la fortuna di chi con la burocrazia fa affari. Sono i «clientes» del partito della spesa pubblica e la sinistra tende a garantirlil”.
Ed è successo in maniera evidente con il reddito di cittadinanza. È uno strumento in alcuni casi necessario per garantire una soglia di sopravvivenza dignitosa, ma intorno sì è costruito un sistema di ricollocamento nel mondo del lavoro che non ha mai funzionato. Lo sanno tutti, ma per motivi ideologici nessuno ci ha ancora messo mano.