L’importante è vincere, non governare. L’importante è andare al potere, anche se non si ha la benché minima idea di come governare unitamente il Paese fuori dalla tempesta dei nostri tempi, verso la modernità e la stabilità. E’ quello che si evince dalle parole di Antonio Tajani, vicepresidente di Forza Italia e del PPE, che torna a parlare dalle colonne del Corriere della Sera, il quale ancora non prende (o non vuole prendere atto) del fatto che l’unità del fu centrodestra a cui si richiama non esiste più. E che lui per primo dovrebbe volere la fine di questa alleanza contro natura che serve solo a conquistare potere cedendo terreno agli estremismi, ma che è una condanna a morte per il Paese.
E’ inutile che continui a fare il pompiere gettando acqua sul fuoco delle divisioni interne di una fazione politica disgregata che da tempo ha smesso di esistere è che se resta insieme lo fa solo per “battere il nemico”. “Quello che tutti noi del centrodestra dovremo fare non è metterci a litigare sulla leadership, ma riconquistare la fiducia dei cittadini che si allontanano dalla politica – ha detto Tajani, senza però specificare come intende recuperare il consenso di chi non crede più alle urla dei populisti -. A questo deve servire un vertice, Berlusconi ha detto che organizzerà un confronto approfondito su programmi, temi cruciali per il centrodestra (la libertà di impresa, la diminuzione della pressione fiscale, la lotta all’oppressione giudiziaria e burocratica, l’ambiente) che ci permetteranno non solo di vincere le elezioni, ma di governare. Lui, con la sua capacità di mediazione, il suo equilibrio, il saper smussare gli angoli, fare rinunce e rendersi concavo e convesso, è indispensabile al centrodestra”.
Insomma, di meglio che ritirare fuori il leader maximo ottantacinquenne come garante dell’unità Tajani non sa fare. Ed è inutile che dica che “prima si vince, poi si sceglie il leader”, perché Forza Italia e Lega lo sanno bene che i numeri in questo caso premieranno certamente Giorgia Meloni, l’amica di Orban e l’estremista di Vox. “Nel centrodestra ci sono oggi tre leader, di forze diverse, prima vinciamo, poi pensiamo a chi sarà il capo – aggiunge ancora Tajani -. Berlusconi può avere il ruolo di promotore per la sua esperienza, la sua saggezza, per la capacità di mediazione e la facilità nei rapporti umani, per il suo essere, lui sì, un leader riconosciuto, dentro e fuori il centrodestra. Parleremo di tutto. Le Regionali certo sono un tema, dovremo presentarci con i nomi giusti perché si possa vincere nelle Regioni, non spartirci candidature: dobbiamo scegliere i nomi migliori, a partire dalla Sicilia che è la prima che andrà al voto. Nessun veto, ma è giusto che venga candidato chi può vincere. Se un uscente non ha chance di essere rieletto, qual è il vantaggio nel ricandidarlo? Dovremo appunto arrivare preparati al vertice per parlarne, esaminare i vari casi e decidere”.
Oltre le poltrone, il nulla. Ed è incredibile che a propinarci la solita letteratura stantia del centrodestra unito sia uno come Tajani, che in Europa col PPE è oppositore dei sovranisti e dei populisti e in Italia invece ne implora la convergenza elettorale per vincere. E chissenefrega dei conflitti. “La conflittualità dei vertici non è quello che ci chiedono gli elettori, che ci vogliono e ci premiamo se uniti – se ne lava le mani Tajani -. Rompere il centrodestra vorrebbe dire tradirli”. Ma come si può rompere qualcosa che non esiste già più? Questo Tajani non lo spiega.