Per alcuni è il solito “abbaiare alla luna”, tradotto in soldoni “il molto rumore per nulla” a cui i populisti ci hanno tristemente abituati. Sono in pochi a credere che ci sarà oggi il temuto strappo del M5s. Anche perché i grillini hanno capito che a Palazzo Chigi permane la linea della fermezza: le liti tra correnti non cambiano il volto del governo, non mettono in alcun modo in discussione il ministro degli Esteri. Draghi non è per i ‘rimpasti’, anche perché da fuori sostituire Luigi Di Maio potrebbe sembrare in una fase tanto delicata come quella attuale un segnale di forte debolezza che il premier non intende dare. Senza contare poi che Di Maio “gode di ottima reputazione, sta facendo bene a livello internazionale e viene stimato dai colleghi di governo: che una dinamica tra correnti interrompa la continuità nella gestione della politica estera è fuori da ogni possibilità”, dicono fonti governative autorevoli. Dunque il vero nodo diventa ben altro: salvare la faccia a Giuseppe Conte, che deve portare a casa un qualche risultato.
I 5 Stelle si son presentati alla riunione di maggioranza con il sottosegretario agli Affari europei Enzo Amendola, che rappresenta Palazzo Chigi, già sottotono. Due punti prima imprescindibili son diventati pasta da modellare: il no all’invio delle armi a Kiev e la richiesta di voto su una eventuale nuova spedizione di forniture militari in Ucraina. Il M5s vista l’aria che tira ha scelto così di passare a richieste più modeste: “Noi vogliamo che prima degli snodi cruciali a livello internazionale il governo passi per il Parlamento”. E tra questi ovviamente l’invio delle armi in Ucraina. Il governo però ha messo già le mani avanti, dicendo che l’esecutivo “non può stare sotto tutela” e una risoluzione parlamentare non può smentire un decreto legge, quello, già votato da entrambe le Camere, con il sì del M5S, che autorizza possibili ulteriori invii di armi fino al 31 dicembre.
I grillini allora punterebbero ad un passaggio assai generico sul fatto che il governo “continuerà ad aggiornare il Parlamento”. Che è un modo per sfuggire dai paletti imposti da Palazzo Chigi e accontentare un po’ tutti. Dal canto suo Draghi, che in verità non si è mai sentito ‘braccato’ da Conte, ha trascorso l’intero pomeriggio a limare il suo discorso, disinnescando le “bombe” che minano il campo. Oggi il presidente del consiglio parlerà di strategia per arrivare alla pace, ma nel quadro degli impegni assunti con la Ue, e senza dubbio renderà conto del viaggio a Kiev. Probabilmente Draghi richiamerà ancora una volta i partiti al senso comune di responsabilità: dividersi infatti in una fase del genere sarebbe controproducente per l’Italia.