Il compatto, monolitico e uniforme Movimento 5 Stelle che avanzava sbaragliando il nemico al grido di “Onestà, Onestà” è un pallido ricordo di tempi andati, che si perde in una dimensione quasi onirica, come quando ci si risveglia al mattino e si cerca disperatamente di ricordare il sogno fatto la notte.
Ecco, prima c’è stato il sogno – che ha illuso milioni di elettori – adesso c’è il risveglio. Un brusco risveglio, invero. Dopo cinque anni ininterrottamente al Governo seppur cambiando partner, l’unica novità che il Movimento ha prodotto è la figura mitologica dell’Avvocato del Popolo al secolo Giuseppe Conte, per gli amici “il Nulla in Pochette”. E adesso proprio il figlio rischia di uccidere il padre (non in senso psicoanalitico, ma proprio letterale), facendo deragliare il patito e consegnarlo all’oblio della Storia.
Giuseppe Conte ha involontariamente – sia chiaro – lucrato consenso e appeal politico durante gli anni tragici della pandemia con una spasmodica ed eccessiva presenza in TV, forte del suo piglio (finto)aristocraticamente serio e si è trovato catapultato sulla scena politica da protagonista senza però averne né il pedigree né il physique du role.
Insomma, la politica non è il suo mondo, e si vede!
L’inganno, infatti, si è presto svelato e il bluff è stato immediatamente scoperto una volta che la tenaglia dell’emergenza sanitaria si è allentata. Quando occorreva iniziare a far politica davvero, l’avvocato del Popolo ha dimostrato di non essere un politico. Di non averne né lo spessore né le qualità.
Di questo, invero, se ne sta accorgendo tutto il movimento che rischia la scomparsa dalla galassia politica e da quel Parlamento che con un ingenuo neoluddismo voleva aprire come una scatoletta e dal quale è stato inesorabilmente schiacciato.
Il duello all’arma bianca ormai da tempo esistente tra Giuseppe Conte e Luigi di Maio, sta esplodendo in questi giorni in tutta la sua virulenza aggravato dall’incapacità dei rispettivi pretoriani di trovare una sintesi politica.
Dopo la palese sconfitta alle elezioni amministrative 2022 che rappresenta l’ultimo tassello di una crisi di consenso a dir poco emorragica, Conte con improvvide dichiarazioni aveva tentato di buttare la palla in tribuna, addossando la responsabilità dell’ennesimo flop all’esperienza del governo Draghi, ai contrasti interni, alla mafia e probabilmente, se avesse continuato, anche agli alieni. Il concetto di autocritica non pervenuto!
Dichiarazioni che non sono piaciute assolutamente a Luigi Di Maio che stavolta non ha agito istintivamente, ma ha soppesato tutti i fattori in campo e poi ha sparato bordate contro Conte.
Che poi bordate non sono perché il Ministro degli Esteri ha sostanzialmente sottolineato l’ovvio: non si può stare al Governo e fare opposizione interna al Governo. Insomma, non si può fare come Salvini, i risultati sono evidenti. Ma l’ex premier non l’ha presa affatto bene e ha contrattaccato sottolineando di non accettare lezioni di democrazia da Di Maio.
E poi ancora giù botte da fabbro, con Conte che accusa Di Maio di aver sporcato la possibilità di un viaggio a Kyiv e il titolare della Farnesina che accusa il leader di politica antiatlantista.
Insomma, volano gli stracci tra le personalità più rilevanti all’interno del Movimento e questo preoccupa il cerchio magico dei Cinquestelle, anche in vista delle prossime battaglie interne e parlamentari. Il prossimo 21 giugno si dovrà votare sull’Ucraina e la linea di Conte è chiara, o meglio chiaramente confusa. Si all’appoggio all’Ucraina, ma senza armi (sic!). Quindi di che appoggio si tratterebbe esattamente? Appoggio morale? Zelensky ringrazia, ma probabilmente è altro quello di cui ha bisogno.
Di Maio, al contrario, è ben consapevole che i continui ricatti di Conte sono impraticabili e fa notare all’avvocato del popolo che l’Italia non è un Paese neutrale e ha degli obblighi internazionali anche di natura militare. Pertanto, la linea di Conte oltre che politicamente fallimentare è anche giuridicamente impraticabile. E che un avvocato si faccia dare lezioni di diritto da Di Maio, dovrebbe far riflettere Giuseppe Conte e non solo. Rimane il dubbio su che cosa farà in Aula il partito.
Poi il Movimento dovrà sciogliere definitivamente la riserva sul famoso vincolo del doppio mandato che rischia di mandare a casa molti big del partito. Mentre Conte vorrebbe mantenere l’intransigenza delle origini, i governisti dimaiani vorrebbero introdurre delle deroghe per meriti (quali?) particolari. Anche su quello sarà battaglia dura in Via Campo Marzio.
Lacerato, dunque, da linee diverse e inconciliabili fra loro, il Movimento è rimasto a metà del guado, non più barricadero (tanto che il pasionario Di Battista lo ha abbandonato da un po’) ma nemmeno pienamente politico visto che il leader semplicemente non è un politico. Il tutto con la drammatica urgenza di dover “rianimare il morto”. Sempre che non sia già troppo tardi! Grillo ha qualcosa da dire a riguardo? Ed Enrico Letta?