Una missione destinata a entrare nei libri di storia: per la prima volta nella ormai lunga vita dell’Unione, i tre leader dei principali paesi europei, Italia, Francia e Germania, si presentano insieme in un teatro di guerra. Il premier italiano Mario Draghi, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz incontreranno, a Kiev, incontrare il presidente ucraino, Volodimyr Zelensky.
La giornata avrà un valore altamente simbolico, magari non porterà risultati concreti, e nessuno si fa illusioni su questo punto, ma avrà in ogni caso un risvolto e una risonanza politica che segneranno la storia di questo conflitto.
La visita dei tre leader è senza dubbio l’affermazione di un nocciolo duro europeo che per la prima volta, dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, si muove in modo coordinato di fronte ad un appuntamento che appare come un passaggio storico. Ma è anche e soprattutto un successo non indifferente per l’Italia, che per la prima volta viene inserita appieno in quello che per tanti anni è stato un asse a due: il tandem di governo della Ue che oggi si allarga alla presenza di Roma è un dato che le nostre istituzioni registrano con orgoglio.
Alla luce di questo straordinario risultato messo a segno in maniera inconfutabile da Mario Draghi, la cara Giorgia Meloni continua a criticarlo. Soprattutto adesso, forte del risultato della tornata elettorale, si sente pronta più che mai per Palazzo Chigi. “Siamo pronti a governare”, ha detto.
Ma stiamo attenti, molto attenti, e non dimentichiamo che “Giorgia la vincitrice” è quella che ai comizi – e si veda quello di Valencia – inveisce contro i nemici del popolo con uno stile a dir poco sopra le righe. Come ha scritto ieri Sofia Ventura sull’Huffpost, “Meloni e il suo partito rimangono quel mix di destra estrema e radicale poco compatibile con il sistema di valori dell’Occidente liberale, ma che si stanno radicando sempre più tra gli elettori italiani”. E questo dovrebbe far rifletterci. E spaventarci.