Yulia Tymoshenko è ancora la barricadera di Maidan. Capelli ancora intrecciati, l’imprenditrice e politica ucraina, eroina della rivoluzione arancione, è stata primo ministro nel 2005 e dal 2007 al 2010, sotto la presidenza di Viktor Juščenko, divenendo la prima donna a ricoprire tale incarico nella storia del paese. Oggi è ancora lì, ancora a Kiev a organizzare gli aiuti per i profughi del Donbass, a dare il suo contributo e a imbracciare anche le armi. “Se i russi entrassero a Kiev, so che sarei uccisa subito, come Zelensky e gli altri leader – racconta all’inviato del Corriere della Sera -. Ma fin dal primo giorno, quando m’è stato consegnato il mio fucile automatico, io ho deciso di non andarmene. Son capace di sparare, mi sono addestrata, perché non ho idea di quanto tempo mi darebbero per andarmene. Il 24 febbraio è stato no choc. Ero a Kiev, dormivo nel mio letto, i tre nipotini in un’altra stanza. Sento un’esplosione. Mi dico: ecco la guerra. Sono spaventata. Non m’aspettavo che Putin avrebbe lanciato un attacco di quel tipo, su larga scala. È stato il momento esatto in cui è crollata la speranza degli ucraini. La mattina, riunisco il mio team e decidiamo tutti di rimanere e recuperare le armi. Vado da Zelensky. Ragioniamo su quel che possono fare i russi. Anche lui decide di restare. Prima dell’invasione di lui non condividevo nulla, ma il primo giorno di guerra ci siamo visti e stretti la mano: la vittoria dipende anche dalla nostra unità. Sono fiera, di questa scelta in ore così difficili. L’impressione del primo giorno, fu d’essere all’anno zero. Non c’era più la normale vita politica a cui eravamo abituati. Non era più il solito trantran. C’erano il fronte sotto casa, la difesa, le barricate, preparare il cibo, prendere contatto coi medici, pensare a donne e bambini. La prima cosa che ho fatto, è stata evacuare da Kiev sei bimbi malati di cancro al rene”.
Sulle reali intenzioni di Putin la barricadera di Maidan non ha alcun dubbio. “Lui vuole tutta l’Ucraina. Il territorio, la storia. Ma senza gli ucraini – spiega -. La sua guerra è cominciata da anni, forse non ve ne siete accorti. Ha cominciato con la Transnistria, la Georgia, l’Ossezia, l’Abkhazia, poi è arrivato al Donbass. Passo dopo passo, ha seguito la sua strategia. Ha pianificato in anticipo mettendo i suoi pupazzi a guidare l’Ucraina, smantellando il nostro esercito. Nel 2014 non ha trovato resistenza in Crimea e nel Donbass. Pensava di poter prendere in poche settimane anche Kiev. E che fossimo ancora deboli. Un errore: come ha detto Stephen King, s’aspettava un docile cucciolino e s’è trovato di fronte un wolverine, un orso rabbioso”. Perché Tymoshenko di un’altra cosa è assolutamente certa: gli ucraini non cederanno mai, al di là delle possibili aperture di Zelensky sui negoziati. “Zelensky è in una partita diplomatica complicata, ma non è lui a decidere se firmare o no un qualsiasi accordo di pace – chiarisce -. È il popolo ucraino che decide. Siamo un Paese democratico e ibero, non può essere un uomo solo a dire che si rinuncia al territorio. E non penso proprio che ci sia un ucraino disposto a perdere per sempre la Crimea. È stato il primo crimine commesso dai russi: pensi se qualcuno venisse da voi e si prendesse la Sicilia o la Sardegna…”.
Per Tymoshenko per far terminare la guerra non esiste altra opzione che una vittoria dell’Ucraina, con l’aiuto dell’Occidente. “Difficile un cessate il fuoco quando i russi controllano il 20% del nostro territorio – incalza l’ex premier -. In Occidente dicono che ci sono due opzioni per far finire questa guerra. Una è la sconfitta dei russi. L’altra è un accordo di pace che salvi la faccia a Putin. Ma io conosco bene la situazione e voglio essere chiara: non ci sono due opzioni. Ce n’è una sola, vincere. Cosa chiedono i russi? La smilitarizzazione e garanzie sulla sicurezza, che significano niente Nato e disarmo unilaterale delle nostre forze. E in cambio? Gli ucraini riceverebbero garanzie di sicurezza dal Paese aggressore e dovrebbero rifiutare la protezione d’un sistema di difesa come la Nato: è assurdo! Non c’è un politico responsabile che possa accettarlo. E comunque non è una questione che riguardi solo il presidente Zelensky, che sia o no d’accordo: gli ucraini sanno che l’unica garanzia di sicurezza sono armi strapotenti. E un ombrello di difesa come la Nato. La guerra può finire entro il 2022? Sì, ma a varie condizioni: una vittoria formale sulla Russia, armi più efficienti all’Ucraina, nessuna assistenza economica a Mosca. Era Churchill a dire ‘dateci i mezzi e noi faremo la nostra parte’. Ecco, dateci le armi e noi finiamo la guerra entro il 2022: sono sicura che ad agosto, quando arriveranno, ci sarà il punto di svolta”.
Sulla propaganda russa Tymoshenko è molto realista. “Medvedev non è un politico, è uno schiavo, non è uno che può parlare liberamente – sentenzia -. Lavrov, come tutti, ha solo due scelte: obbedire o sparire. L’unico che conta a Mosca è Putin, un dittatore assoluto. A lui non importa sapere come la pensi chi lo circonda. Penso siano fantasie quelle di chi spera nel golpe di qualche collaboratore. Ai politici europei, come Matteo Salvini, che vogliono andare a Mosca, do loro due consigli: evitate di perdere tempo e pensate a che cosa fareste, se nella situazione dell’Ucraina ci fosse il vostro Paese. I turchi? Ai russi non hanno mai permesso d’occupare tutto il Mar Nero, sono amici, qui è famosa una canzone dedicata ai droni che ci han dato, i Bayraktar. Ci sostengono. E con la loro mediazione hanno dimostrato al mondo che Putin non è interessato a un vero dialogo. Ci stanno provando anche col grano: se riuscissero, sarebbe un grande contributo”.