L’ultima in ordine di tempo, qualche giorno fa, è stata la storica libreria Paravia, la più antica di Torinoe la seconda più anticad’Italia, fondata nel 1802 dallo stampatore Gian Battista Paravia. Fino al 2015 è stata aperta per oltre un secolo nella sede di via Garibaldi 23, e poi a causa dello sfratto è stata costretta a trasferirsi in via Bligny, all’angolo con piazza Arbarello. Il calo delle vendite e la concorrenza agguerrita dell’e-commerce hanno convinto le proprietarie, Nadia e Sonia Calarco (la loro famiglia era proprietaria della Paravia dal 1979), ad abbassare definitivamente le saracinesche.
La storica libreria torinese è solo l’ultimo degli esempio di un fenomeno che sembra inarrestabile. All’inizio del 2020 aMilano ha chiuso la libreria all’interno dell’ospedale Niguarda, a Ragusa la libreria Paolino, a Torino anche la libreria Comunardi. A Roma, dopo il secondo incendio lo scorso novembre ha chiuso Pecora Elettrica, seguita dalla storica Libreria del Viaggiatore che ha abbassato la saracinesca il 31 dicembre. A inizio anno la Capitale ha perso anche la Feltrinelli International. Come denunciato dal presidente dell’Associazione Librai Italiani, Paolo Ambrosini, sono 2300 le librerie chiuse negli ultimi cinque anni nel nostro Paese, da nord a sud. Fucine culturali morte per mancanza di visione e per burocrazia, visto che dalla scorsa estate è ferma in Senato una proposta di legge di promozione della lettura per sostenere un settore che sta attraversando una crisi economica e culturale senza precedenti. Con tale provvedimento si proponeva di ridurre gli sconti massimi applicabili dal 15% al 5%, insieme ad una card cultura per i meno abbienti così da smuovere e sostenerne i consumi culturali, dal teatro alla musica. Ma la proposta di legge è ferma perché manca il parere favorevole del MEF.
A fronte di questa ecatombe è necessario un progetto
di rilancio della cultura intesa come strumento di ricchezza sociale e di tutela
della democrazia. Non si può, pertanto, non essere d’accordo con Pierluigi
Battista che qualche giorno fa ha chiesto l’intervento dello Stato per salvare
le librerie come le fabbriche: “E se per le acciaierie, le fabbriche, le
compagnie aeree, le banche che rischiano di fallire – scrive il giornalista –,
lo Stato interviene, finanzia, ripara, allora è giusto che lo Stato fronteggi l’emergenza
nazionale della fine delle istituzioni culturali senza le quali un paese è
finito, devastato, ridotto a condizioni di povertà. Di fronte all’emergenza bisogna
accantonare rigidità ideologiche, sfidare tabù, salvare il salvabile”.
Non serve assistenzialismo fino a se stesso, ma
servono minore burocrazia, incentivi all’acquisto e abbattimento delle tasse. “Le
librerie che a sciami abbassano le saracinesche sono una ferita immedicabile –
aggiunge Battista -. Ogni teatro salvato, ogni sala cinematografica, ogni
libreria, ogni teatro dell’opera, ogni museo è un investimento utile. Perché lo
Stato non si pone questo obiettivo come priorità?”.
E
invece no. La patria del Rinascimento ha tradito se stessa. La patria della
grande bellezza e della cultura che l’ha resa unica al mondo ha tradito la sua
essenza, la sua più pura identità storica e culturale. La politica che calpesta
la cultura distrugge una nazione. Librerie, teatri, musei, sono la nostra
grande bellezza : una politica ormai assoggettata al presente, ai conti, alla
triste razionalità materialista non sa più percorrere la strada dell’estetica,
lunga e tortuosa, che pretende impegno, progettazione a lungo termine. Ma è d’obbligo
per una buona destra tentare di invertire la rotta. Tornare a porsi come
obiettivo la cultura e con essa la bellezza è forse l’unico modo che la politica
ha di ragionare attorno all’assoluto, attorno all’esigenza di senso. E solo una
buona destra può avere il coraggio di fare una scelta del genere, anti-utilitaristica
e antimaterialista.