Oggi 9 maggio, mentre da una parte del mondo si festeggia in parata la vittoria contro il nazismo, senza rendersi conto che i vincitori di ieri sono diventati i nazisti di oggi, in un’orwelliana inversione dei ruoli (“La fattoria degli animali” rimane una pietra miliare nella letteratura mondiale), qui in Occidente, nel mondo democratico, si festeggia l’Europa. I preisdenti delle Camere basse di Italia, Germania Francia e Spagna hanno sottoscritto un documento congiunto in omaggio a questa ricorrenza dal quale emerge, oggi come mai, la necessità di ancora più Europa nel mondo, di una Europa politica e militare, forte, coesa, aperta “per affrontare le sfide del presente e del futuro”.
E questo presente (oltre che il recentissimo passato) sta mettendo a dura prova l’Europa prima con la pandemia e ora con la guerra, obbligandola a un’azione sempre più incisiva. Dall’adozione di politiche sanitarie comuni a una campagna congiunta sui vaccini che in 2 anni ha consentito di quasi debellare un virus che aveva messo in ginocchio il mondo intero, l’Europa ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per essere grande e un soggetto internazionale forte, fra gli imperi statunitense e russo-indo-cinese. Ma non è finita qui, anzi!
Come profeticamente ammoniva Jean Monnet, “l’Europa sarà forgiata attraverso le crisi e sarà la somma delle soluzioni date a tali crisi”. Oggi quelle parole risuonano di una sconcertante attualità nella mente di ogni sincero europeista, atterrito dalla guerra alle porte di casa, ma al contempo fermo nel difendere i valori che hanno reso il continente avanguardia di una civiltà unica nella promozione di pace diritti e benessere. Oggi la linea del fronte per la difesa di quei valori si trova in Ucraina, che non per niente – come sottolineano le presidenti delle camere europee – ha chiesto rifugio e aiuti all’Europa. E l’Unione ha risposto, velocemente e in modo sostanzialmente unanime, ponendosi contro il dittatore invasore russo. Ha risposto con una politica comune di accoglienza dei profughi che vede in prima linea paesi al confine con l’Ucraina, atterriti anche essi dalle mire espansionistiche della Russia di Putin; ha risposto con l’invio di armi a sostegno della resistenza ucraina, nella consapevolezza che la guerra si combatte sul campo e che la legittima difesa armata è un dovere morale; e ha risposto con la volontà comune di ricostruire quel paese martoriato dalla guerra attraverso fondi e competenze tecniche e logistiche in grado di garantire il prima possibile un ritorno alla normalità.
Ma in questo “compleanno di guerra” bisogna essere coscienti che, nonostante quanto è stato già fatto, vi è ancora molto da fare. Integrare e unificare in chiave federale costituisce il futuro dell’Unione. O l’Unione diventa una e federale o scompare, avvertiva qualche giorno fa Guy de Verhofstad alla conferenza sul futuro dell’Europa, ed è questa la strada maestra che va tracciata giorno dopo giorno fino al raggiungimento degli Stati Uniti d’Europa. Un’Unione che sappia uniformare le proprie politiche in materia economica, sociale e scientifica per farsi davvero promotrice di un modello europeo di sviluppo in grado di affrontare il futuro, oggi reso incerto dalla guerra, dalla pandemia e dall’emergenza climatica. Occorre uno scatto in avanti, occorre non adagiarsi su quanto raggiunto ma osare verso flvette ancora più alte, nel rispetto e nella valorizzazione dei cittadini europei e delle istituzioni nazionali che dovranno diventare sempre più partecipi nei processi di decisione comunitaria nonché veicolo di condivisione e promozione di questo grande progetto di pace, diritti e inclusione sociale.
Questa è la democrazia europea, e il 9 maggio deve essere una festa per un futuro tutto da scrivere fatto di pace, diritti e integrazione, ma anche di responsabilità collettive finalmente condivise tra i vari paesi membri per costruire finalmente una casa comune, mettendo al bando gli egoismi nazionali ormai superati dalla storia. Perché oggi il nemico dell’Europa sta proprio lì: nel nazionalismo e nel sovranismo populista i quali sotto la maschera di un finto europeismo mirano a consolidare un’identità anti europea fatta di nemici immaginari e di paure da cavalcare.
Noi della Buona Destra, al contrario, vogliamo che il 9 maggio rappresenti la speranza di un’Unione più forte, di un vero e proprio rinnovato patriottismo continentale, che ci renda Nazione Europea, superando le divisioni nome di una solidarietà è una responsabilità individuale e sociale che non abbia i miseri confini della classe di appartenenza o delle identitario stato-nazione, concetti novecenteschi ormai inattuali e da archiviare una volta per tutte. Le sfide sono tante e il viaggio ancora è lungo, ma come diceva Helmut Kohl “Nel dubbio più Europa”, per un futuro di pace e prosperità.