E’ un Luca Palamara netto e diretto quello che in una intervista oggi rilasciata a Il Riformista stronca senza appello la riforma Cartabia. “Peggio di quando c’ero io” dice con sapiente riconoscimento del proprio ruolo nel degrado della magistratura italiana degli ultimi decenni su cui ha scritto anche due libri. Non che sia il solo colpevole, intendiamoci, anzi è da vedere più come capro espiatorio di un sistema che sostanzialmente è rimasto “come quando c’era lui”, senza punizione alcuna per i colpevoli, salvo lui s’intende.
Proprio per questo è interessante riflettere sulle analisi di uno “molto informato sui fatti” che di sicuro è in grado di illustrare senza mezzi termini i punti critici della Riforma Cartabia, in corso di approvazione alla Camera dopo i vari mal di pancia delle forze di maggioranza. Già nei giorni scorsi, l’ex pm l’aveva definita come una riforma fantasma, bloccata dalle minacce dei magistrati e dalla loro sempiterna opposizione per qualsiasi ipotesi di rinnovo integrale del sistema. Insomma, una riforma che non affronta i veri problemi della giustizia sempre più al di fuori – secondo Palamara – dei canoni dello stato di diritto. Niente viene stabilito in modo netto sulla separazione delle carriere, niente sull’autonomia della polizia giudiziaria rispetto al pm e tanto altro. Ma, soprattutto, non viene affrontato il vero “cancro” che rischia di uccidere la magistratura italiana: lo strapotere delle correnti all’interno del CSM.
In particolare, Luca Palamara critica il compromesso al ribasso sul metodo elettorale stabilito in riforma che rimarrà appannaggio delle stesse correnti, le quali utilizzeranno la quota proporzionale per mantenere inalterato il proprio potere di condizionamento. Questo, in particolar modo, spendendosi per quei magistrati che pur essendo candidati al di fuori delle proprie sedi giudiziarie (come da riforma), potranno contare sull’appoggio di colleghi di area.
Il sorteggio andava fatto sui singoli – se c’è un numero di magistrati da eleggere si sorteggiava un paniere ad esempio del decuplo e poi si procedeva al voto nominale – e non per collegi, come è invece nel testo Cartabia.
Il ripescaggio proporzionale, di fatto, fa rientrare dalla finestra quello che si era cercato di far uscire dalla porta. E, con le elezioni del CSM di prossima celebrazione (luglio), Palamara si spinge fino a saperne predire gli esiti, una volta che il Ministero avrà deciso la suddivisione dei collegi elettorali.
Insomma, una riforma nata per stroncare il correntificio che il presidente Mattarella ebbe a stigmatizzare in modo forte e chiaro come “modestia etica”, e che invece rischia di essere il classico topolino partorito dalla montagna.
Per questo, non sarebbe proprio un’idea fuori luogo quella provocatoriamente proposta dal dottor Andrea Reale (capogruppo di Articolo 101 nel comitato direttivo ANM), e cioè andare a festeggiare l’esito parlamentare della riforma o all’Hotel Champagne (dove, si ricorda, avvenivano gli incontri intercettati tra Palamara e Cosimo Ferri e Luca Lotti per la spartizione dei posti a campo degli uffici giudiziari, in particolare la Procura di Roma) o al Bar Ungheria (da lì nome della famosa “Loggia Ungheria”, consesso in cui un gruppo ristretto di operatori del diritto pilotava inchieste e sentenze).
E’ amara l’analisi di Luca Palamara che parla espressamente di una riforma gattopardesca per “cambiare tutto purchè nulla cambi” ed effettivamente, purtroppo, potrebbe avere ragione.