La vicenda di Edy Ongaro, il veneto morto combattendo nelle milizie separatiste del Donbas, dimostra quanto quella ‘cultura’ sotterranea, funebre ed eversiva, maturata nel contesto dell’antiamericanismo militante, sia cresciuta in questo ventennio nel nostro Paese. Una visione paranoica capace di trasformare persone che avevano, o avrebbero potuto avere un lavoro, una famiglia, un futuro, in combattenti spinti da una pulsione di morte. Pronti a dare la vita contro il “fascismo” americano.
Ongaro oggi viene ricordato dai collettivi antagonisti, dai suoi familiari, dal parroco del paesino veneto nel quale era cresciuto prima di partire (latitante) per unirsi ai miliziani del Donbas, come un uomo generoso, altruista, che aveva scelto di lasciare l’Italia per uno scopo pacifico: aiutare una etnia nella sua battaglia per la autodeterminazione. Queste ultime sono parole di Ongaro stesso in un video postato su Facebook all’epoca del suo addio all’Italia.
Ma dietro i propositi ideali, covava l’occidentalismo. La frustrazione del soggetto occidentale
spinto ai margini di una società che non comprende, una repressione profonda accumulata per anni contro “lo Zio Sam” (la democrazia, il liberalismo, il globalismo economico), che ad un certo punto esplode, trovando la propria identità in una pulsione di morte.
Non è chiaro quanto Ongaro combattesse per Putin, se vogliamo metterla in questo modo, ma fatto sta che questo nostro connazionale aveva maturato una insoddisfazione così profonda verso la società nella quale era cresciuto, verso un mondo che, semplificando, descriveva come dominato dal potere americano, da lasciare tutto per combatterlo.
Nessuno, la scuola, gli amici, la famiglia, a quanto pare è stato in grado di far comprendere a Ongaro
che quello contro cui combatteva non era “un mostro”, ma un modello di civiltà, la nostra, che tra luci e ombre ha garantito all’Europa 50 anni di crescita e sviluppo economico. Opportunità per chi vuole e sa coglierle. Quella pace che tutti vogliamo difendere. No, per Ongaro l’Europa non era altro che una estensione del potere americano. Un unico moloch fascista.
Così Ongaro ha trovato il suo nemico. Contro questo nemico ha combattuto ed è morto, coltivando in se stesso la certezza di dover ‘sacrificare’ la propria vita per questa ‘causa’. A tanto è arrivato l’odio contro noi stessi e la nostra identità. Non nelle caverne dei Talebani ma in quel Veneto libero e democratico dove oggi dovremmo chiederci perché non si è stati in grado di trattenere questa giovane vita perdente radicale e perduta.