“Non siamo contro gli investimenti militari ma contro la corsa al riarmo,” ha detto Giuseppe Conte ai suoi. Con nientepopodimeno che 50mila ‘voti’ grillini, appena a una spanna dallo statista Toninelli e mentre le carte di 5 Stelle versano in tribunale, Conte conserva la leadership di un movimento diviso e in caduta libera nei sondaggi. Per farlo e per racimolare i voti necessari, l’avvocato del popolo non esita a strumentalizzare la guerra in Ucraina sollevando la bandiera del NO all’incremento delle spese militari. Quelle stesse spese che quando era Trump a bussare alla porta di Palazzo Chigi, l’allora presidente del consiglio approvava senza battere di ciglio.
Ma adesso che c’è da riconquistare il consenso nelle smagrite pattuglie grilline percorse dal brivido ortodosso dell’antimilitarismo, ostili alla Nato e antiamericane (e considerando anche che una parte del partito ormai veleggia sulle posizioni governiste di Di Maio), Conte depone l’elmetto, alza la bandierina pacifista sul movimento e rischia di mandare all’aria governo e maggioranza. Altro che campo largo, povero Pd che con Conte non sa più che pesci pigliare: resto in campo e mi contraddico platealmente pur di ottenere qualche voto in più.
Perché siccome Conte per deformazione professionale e interesse politico capisce che il tavolo con Draghi potrebbe saltare davvero, ecco puntuale la dichiarazione “non siamo contro gli investimenti militari ma contro la corsa al riarmo”. Che vuol dire tutto e niente. Il meglio dell’eredità casalinesca in termini di comunicazione vuota, ormai senza neppure il traino di qualche social. È il vuoto cosmico di Giuseppe Conte, che l’avvocato cerca ansiosamente di riempire con quei voti minoritari nel Paese e in Parlamento. L’unico effetto è destabilizzare la politica italiana. E buttare in caciara la tragica resistenza degli ucraini, che quelle armi aspettano per sopravvivere come democrazia. Complimenti.