Dopo soli quattro mesi la lista Calenda Sindaco non è più la principale forza di opposizione in Campidoglio. Valerio Casini e Francesca Leoncini, i due eletti di Italia Viva, sono usciti sbattendo la porta e dimezzando la rappresentanza nel consiglio della lista unica che ottenne più del 19%.
All’origine del dissidio c’è stata l’elezione di Virginia Raggi a presidente della commissione speciale Expo 2030, avvenuta contestualmente a quella di Dario Nanni, Azione, alla commissione speciale Giubileo 2025. Queste commissioni sono state create dal sindaco Gualtieri per coinvolgere l’opposizione dialogante, una specie di campo largo. Proprio quello a cui Italia Viva dice di non voler partecipare a livello nazionale.
La dinamica della rottura è stata singolare e altrettanto autolesionista: un lungo litigio su Twitter in cui Casini e Calenda si accusavano vicendevolmente si essere venuti meno a promesse fatte in precedenza. Contemporaneamente, Flavia De Gregorio, capogruppo della lista e membro di Azione, ha addirittura negato di aver votato l’ex sindaca grillina, ma sui social sono bastati pochi minuti per ritrovare il verbale che la smentiva.
Il punto principale della polemica secondo Calenda è che questo tipo di nomine spettano di default all’opposizione, un po’ come accade con il Copasir in parlamento. In realtà non è prassi che le commissioni speciali vengano presiedute dall’opposizione, ma, anche volendo dare ragione al leader di Azione, la vera questione era se fosse davvero necessario eleggere Virginia Raggi. Davvero non c’era nessuno di meno divisivo e di meno simbolicamente inviso alla cittadinanza romana tra le fila dell’opposizione?
Un dissidio che non aiuta nessuno dei due contraenti, insomma, che ne escono con le ossa rotte. Azione pare essersi avvicinata alla giunta Gualtieri, nonostante nei mesi scorsi abbia addirittura creato un governo ombra nella Capitale, e sembra sempre più alle prese con un leader che si ostina a non assumere un social media manager. Italia Viva insiste al punto di provocare la rottura e depotenziare la forza stessa della propria opposizione.
Le diverse visioni e le continue punzecchiature tra Calenda e Renzi sul piano nazionale sembrano quindi alla base di questa ennesima rottura al centro, dove la frammentazione continua ad essere un triste modus operandi.