“Una sconfitta per tutto l’Occidente”. Che riapre il dibattito sulla necessità, prioritaria, della UE di dorarsi di un esercito proprio. E sul futuro della Nato.
Ha ragione il generale Claudio Graziano, a capo del Comitato militare dell’Unione europea ed ex comandante delle forze armate italiane. Nell’intervista di ieri su Repubblica, Graziano fa un’analisi assolutamente condivisibile sulla sconfitta definitiva in Afghanistan delle missioni internazionali.
“È finita l’epoca dei grandi interventi internazionali dopo l’11 settembre 2001 – afferma -. Fino alle primavere arabe, la Nato è stata protagonista di queste operazioni e ha agito su mandato delle Nazioni Unite. Dal 2011 l’Alleanza ha ridotto l’impegni in Afghanistan e il Consiglio di sicurezza dell’Onu non ha più deciso una sola missione. Oggi l’America sembra voler ridimensionare il ruolo attivo e per questo serve un maggior coinvolgimento europeo. C’è un vuoto: se non lo riempiamo lo faranno altri”.
Graziano ripropone quello che la Buona Destra ripete da tempo: l’Unione deve dotarsi di un esercito comunitario. Che collabori con la Nato ma abbia la sua autonomia. “La lezione di Kabul è chiara – aggiunge Graziano -: singoli stati non possono più contare sullo scacchiere mondiale. Il ritiro dall’Afghanistan lo hanno deciso gli americani, che hanno sempre contribuito con l’85% delle forze. La UE deve avere una voce sola e farla pesare dentro e fuori la Nato”.
Il generale Graziano, nel suo ragionamento, tocca un altro tema caro alla Buona Destra: la necessita della decisione politica. “L’Unione deve essere più credibile e assertiva – prefigura -, dotandosi degli strumenti necessari a realizzare le sue ambizioni. Serve un conando centrale con forze sufficienti a disposizione, fondi efficaci, strutture operative coordinate. La UE ha un battlegroup con 5000 soldati pronto allo schieramento rapido: in una situazione come quella dell’aeroporto di Kabul potrebbe fare la differenza. Il compito della UE – conclude – è realizzare capacity building, ossia sostenere paesi fragili affinché possano camminare con le loro gambe, come facciamo nel Sahel minacciato dai fondamentalisti”.