di Paolo Capra
Giorni fa il Governo ha presentato al Parlamento il Programma nazionale di ripresa e resilienza, documento che il 30 aprile è stato inviato a Bruxelles per raccogliere eventuali considerazioni, positive, negative oppure entrambe.
Il documento è imponente e richiede attenta lettura e dovute riflessioni, tuttavia si accenna una breve, istintiva e sintetica “prima riflessione”.
Tale documento include proposte e riforme per ilprossimo futuro e mira ad indicare una via per lo sviluppo e la crescita dell’Italia per i prossimi anni, anche sulla base di impegni che vincoleranno la Repubblica oltre il prossimo quinquennio.
Una prima veloce lettura ha fatto sorgere i seguenti dubbi: in primo luogo, documento pone in primo piano la riforma della pubblica amministrazione, individuata quale causa primaria dell’attuale fase di recessione. La riforma individuata è sviluppata con argomentipositivi, pur dovendo infine riscontrare che si basa prevalentemente su un intervento di nuove assunzioni. Ora, se ciò deve essere interpretato come una manovra di “ringiovanimento” del settore pubblico, ben venga, ma il driver della manovra (prendendo spunto da quanto avvenuto in altri paesi di vertice europei a noi assimilabili, Francia e Germania), dovrebbe essere l’inserimento di competenza e professionalità, dai quali eventualmente far definire il numero di assunzioni necessarie; vengono poi individuati molti tipi di investimenti, forse tutti utili ma slegati fra loro: non si coglie il disegno programmatico, il quadro d’insieme che li lega. Parrebbe la “solita pioggia che deve bagnare tutti…..”. Verrebbe da dire che vengono soddisfatti degli interessi di alcuni cittadini, non l’interesse del paese; infine, il Piano sembra finanziare ed aspettarsi risultati, senza curarsi dell’effettiva importanza delle singole iniziative e delle reazioni dei singoli comparti finanziati e dei loro appartenenti. Parrebbe che basti investire per ottenere risultati: ogni scelta di investimento importa l’allocazione di risorse in un comparto e non in un altro. Essa implica una scelta in merito ai denari spesi per finanziare un progetto (forse inutile) ed il mancato impiego per un altro (forse necessario). E non si tratta solo di soldi sprecati, ma di perdita di opportunità di crescita se i denarifossero stati impiegati in modo più proficuo. In sostanza, manca il confronto, la valutazione di merito. Sono state scelti impieghi, per poi definirne il risultato, ma la scelta parrebbe essere politica e non economica. Infatti, come mai molte risorse sono dedicate ad imprese di caratterepubblico mentre solo investimenti residuali per l’industria privata?
Alcuni commenti positivi sono d’obbligo: si guarda con interesse agli investimenti innovativi e molte delle riforme annunciate, se funzioneranno, potranno aiutare il Paese a crescere ed essere nuovamente produttivo.
Resta quel senso di disagio nel leggere una lunga lista di spese: si spera siano utili, visto che non sono definite e spiegate.