Il Covid e la libertà, prospettive per l’Europa di domani

di Kishore Bombaci

 

Alcide De Gasperi sosteneva: “ In Europa si va avanti tutti insieme in libertà”

La dimensione europea è sempre stata collegata a un necessario spazio di libertà per le persone che assicurasse benessere e prosperità della comunità.

I Governi liberali del primo Novecento e a maggior ragione le dittature totalitarie, con il loro nazionalismo e populismo, fondati su leadership tanto carismatiche quanto bugiarde, hanno tradito completamente il proprio mandato. E non ci si riferisce a un contingente mandato politico. Ma al Mandato generale che permette la stessa esistenza di un qualsiasi governo. Cioè, per usare le parole di John Locke “quello di assicurare ai propri cittadini diritti e sicurezza fisica ed economica, equità sociale servizi e  – nei governi democratici – spazi di libertà”. Se queste sono le premesse, è evidente che tanto le democrazie liberali pre fasciste, quanto le dittature nazifasciste hanno fallito integralmente la loro missione. La Prima e ancor più la Seconda guerra mondiale sono lì a testimoniare tale fallimento.

L’intuizione dei grandi padri costituenti continentali fu quella di osservare come solo una comune cooperazione fra gli stati europei potesse garantire quella sicurezza e quella efficienza che lo stato nazionale da solo non poteva (né può tutt’ora) fornire da solo. La democrazia cioè non è solo una dimensione interna, ma deve diventare una metodologia nei rapporti fra gli stati, senza che si faccia luogo a un ripiegamento entro i confini nazionali che rende gli stessi stati più fragili e conseguentemente più aggressivi l’uno nei confronti dell’altro. Ciò valeva all’epoca del secondo dopoguerra in un clima di Guerra Fredda, ciò vale oggi di fronte alle sfide della modernità.

Allora c’era un’Europa da ricostruire dalla macerie della seconda guerra mondiale e da far crescere in pieno conflitto con il Comunismo Sovietico, oggi c’è da dare slancio a una Europa prostrata dagli egoismi nazionali e, recentemente, dalla pandemia da Covid 19.

Al fine di garantire quello spazio di sicurezza fisica ed economica, in passato è stato necessario passare dalla dimensione degli accordi intergovernativi a una politica fondata su nuove strutture sovranazionali, sopratutto in quelle materie c.d. “calde” come carbone e acciaio. Materie prime che avevano dato nel tempo luogo a vari conflitto nazionali. Ecco perchè, nel 1954 il primo trattato europeo fu proprio quello relativo alla istituzione della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA).

Oggi nel quadro di circostanze completamente diverse, rimane la necessità di ripensare in senso costruttivo e rafforzare quelle strutture sovranazionali dotandole di sempre maggiore legittimazione democratica e di una forma di governo realmente europea. A partire dal Parlamento Europeo, unico organo a legittimazione democratica diretta e al suo legame, che deve diventare ancor più stretto, con la Commissione, organo esecutivo.

Nel tempo, la implementazione della collaborazione economica e – più lentamente – politica, ha consentito l’avvio di un rapido processo di sviluppo del benessere collettivo. Nel 1960 si è assistito a una crescita del PIL pro capite in Europa pari al doppio di quello registrato negli USA (33% contro 15%). Ma il mercato unico integrato, per funzionare bene, ha bisogno di istituzioni comuni che cooperino, di un potere legislativo, esecutivo e giudiziario comune che dia tutela e garanzia a privati e imprese che operano in quel mercato. Oggi tale quadro d’insieme si è in parte raggiunto, ma va implementato: i cittadini europei possono lavorare, vivere, studiare in ogni paese dell’Unione e essere sottoposti a legislazione coerente tutelati da organi giurisdizionali europei (la Corte di Giustizia). Non vi è dubbio quindi che istituzioni e mercato unico e rappresentino una grande opportunità di sempre maggior integrazione europea nel solco della tutela delle libertà e dei diritti fondamentali. L’Europa è marcatamente liberale e con i suoi valori è stata in grado di attrarre anche quei paesi che si sono libertati tardi dalle tirannie e dalle dittature. Il processo di allargamento ai paesi dell’Est Europa  ne è un segno evidente.

E tuttavia, da qualche anno si assiste a un progressivo deterioramento del sentimento europeo tanto in alcuni Stati quanto nella cittadinanza, il tutto aggravato da crisi cicliche che non sempre hanno trovato una risposta adeguata, o quantomeno percepita come tale. La Gran Bretagna ha da poco concluso il processo di Brexit, i Paesi di recente acquisizione sono sempre più recalcitranti al doveroso rispetto dei principi liberali che costituiscono l’architrave giuridica dell’Unione. Lo stesso dibattito per la promulgazione di una Costituzione Europea si è ormai da tempo arenata dopo il fallimento dei relativi referendum in Olanda e in Francia. Movimenti palesemente populisti e nazionalisti hanno ripreso vigore e hanno fatto dell’UE un bersaglio prediletto, criticandone addirittura la stessa esistenza e legittimazione. Terreno d’elezione per la propaganda di tali forze è certamente stato quello dell’immigrazione e della sostanziale incapacità di una gestione comune dei flussi, che ha esposto i paesi di frontiera a una pressione notevole che si è riverberata sulla cittadinanza in termini di percezione di abbandono e calo della propria sicurezza.

Ma anche il simbolo dell’UE, e cioè la moneta unica, è stato fatto oggetto di critiche spietate tanto che in alcuni paesi – compreso il nostro – forze politiche si richiamano esplicitamente alla necessità di uscire dalla Eurozona.

Insomma, il quadro è drasticamente cambiato rispetto al post dopoguerra. Eppure, di fronte a queste nuove sfide, non si può che ribadire ancora una volta che se ne può uscire con più Europa e non con meno Europa.

Ancora una volta ci viene in sostegno De Gasperi che, con profonda lungimiranza, aveva ammonito: “Se noi costruiamo soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale, nel quale le volontà nazionali si incontrino, rischieremo che questa attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale particolare, senza calore, senza vita ideale potrebbe anche apparire ad un certo momento una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva”.

Analisi, ripeto, lungimirante che enuclea il problema e traccia la via della soluzione. L’Europa deve farsi sentire come motore principale degli interessi dei cittadini delle comunità nazionale, divenendo (sempre più) politica. Le sfide che ci troviamo ad affrontare come comunità sono molteplici e molte di esse si giocano a livello sovranazionale, benché i relativi effetti vengano scontati da ciascuno di noi. E oggi, di fronte a sfide sovranazionali, quali l’emergenza sociale ed economica post Covid, la sfida climatica, il terrorismo globale, l’insicurezza planetaria ecc., si debbono trovare risposte a livello sovranazionale. Una risposta meramente nazionale sarebbe improduttiva e anzi, tragica negli effetti per i cittadini dei singoli stati membri. Solo un’Europa forte può far fronte a tali importanti sfide. In altre parole, seppur in un contesto mutato, solo la sovranità europea è il volano per una migliore e più efficiente sovranità nazionale, affinché le soluzioni producano effetti direttamente tangibili e misurabili nella vita dei cittadini. Contrapporre le due sovranità in funziona nazionalistica e sovranista è mera propaganda di un conservatorismo retrivo e fine a se stesso, incapace di governare ma solo di urlare.

La prima direttrice necessaria è, quindi, quella di portare a termine il processo di costruzione dell’Unione riprendendo con forza il dibattito sulla Costituzione Europea. Infatti, come detto, l’Europa monetaria è necessaria, ma non sufficiente. Il mercato unico, che va implementato,  non è anarchia. C’è bisogno di politica.  Questa, infatti, tempera il mercato e consente una migliore e più equa allocazione delle risorse. Ciò avviene sia in senso nazionale, e a maggior ragione in senso sovranazionale. Se l’Europa non avrà la forza politica “per ascoltare le vittime di quelle società costruite solo per profitto e potere”, avrà fallito la propria missione. In altre parole, dovrà non solo farsi promotrice di benessere, crescita e sviluppo, ma anche garante della moderazione dei risultati e redistribuzione delle opportunità. Un sistema fiscale unico si rende necessario, meccanismi di welfare europeo, quali ad esempio l’istituzione di fondi contro la disoccupazione europea (sul modello del SURE), dovranno essere mantenuti anche quando finalmente l’emergenza post Covid sarà terminata. Andranno istituiti fondi comuni per la riqualificazione professionale, fondati sull’idea che oggi non si può tutelare il posto di lavoro, ma il lavoratore, garantendo la mobilità orizzontale e sopratutto verticale dello stesso. Se ciò è vero a livello sovranazionale, è drammaticamente urgente in Italia.

 Un’Europa, insomma,  che si faccia garante sociale del benessere e dell’eguaglianza delle opportunità, mediante strumenti di welfare sostenibile.

Dobbiamo trovare la forza di riprendere le parole iniziali di De Gasperi. Uscire dalla logica isolazionista e marciare uniti e in libertà per un Europa più forte.

Se è vero – come ha dichiarato l’ex Presidente del Consiglio Italiano, Giuseppe Conte  – che l’europeismo non è una moda, è quindi necessario intervenire per correggere la rotta di una direzione europea in cui fra economia e politica ha prevalso la prima a scapito della seconda, ignorando che sono due gambe complementari su cui si sorregge l’intero progetto. Almeno questo è il livello di percezione dell’opinione pubblica quando si parla di tecnocrazia europea. La questione non è così semplice, ma certamente interessa un profilo essenziale allo stesso Mandato di cui parlava Locke. Cioè quello di collegare la sovranità europea alla sicurezza fisica ed economica delle comunità.

La sicurezza oggi è un tema essenziale. Le sfide del terrorismo, la criminalità organizzata transeuropea, l’immigrazione gestita da bande di criminali internazionali e i contesti di guerra in numerose aree del mondo sono solo alcune delle sfide che occupano la politica attualmente, sotto il profilo della sicurezza fisica.

I drammi di una globalizzazione incapace di estendere a tutti i suoi indubitabili benefici, sono invece quelli con cui la nostra economia europea deve confrontarsi per i portati di incertezza che questo quadro ha determinato e determina nelle nostre economie e nelle nostre società.

Peraltro trattasi di profili di sicurezza evidentemente non distinti tra loro ma fortemente interconnessi. Una società più ricca e con maggiore benessere è più aperta e più sicura. Meno incline a assecondare spinte violente, xenofobe e razziste e aggressive. Una Unione ricca è un’ Unione forte. Un’Unione coesa è garanzia per tutti, anche i più deboli. Anche per questo fu creato l’euro. Dal punto di vista di politica monetaria evitare le svalutazioni competitive e quindi vantaggi di alcuni a danno degli altri concorrenti era una scelta obbligata per un’eurozona che volesse essere motore di equità. La libera fluttuazione delle valute non era opzione praticabile. E la stabilità dell’Euro è un valore che ha avuto importanti ricadute politiche.

Per tal motivo, bene ha fatto la BCE di Mario Draghi a utilizzare tutti gli strumenti necessari (whatever it takes) per salvaguardare l’euro. Fu una scelta, appunto, politica non solo di natura monetaria, dei cui effetti benefici abbiamo beneficiato dal 2012, a fronte della peggior crisi finanziaria dal 1929 (pre-Covid). Certo, quel che non si poteva immaginare era proprio la pandemia. Il Covid 19 con gli effetti sull’economia globale, ha nuovamente messo in difficoltà l’Europa Economica e Politica, che però sta dimostrando di saper reggere la sfida.

L’Europa dopo il Covid

L’UE è arrivata alla vigilia dello scoppio della pandemia indebolita da crisi finanziarie e monetarie con ricadute importanti a livello sociale all’interno dei paesi membri. La storia dell’UE, a ben vedere, è sempre stata un po’ questa. Crisi e superamento della crisi. E anche adesso, quando lentamente iniziavano i primi incoraggianti segnali di ripresa e crescita dopo la crisi finanziaria degli anni passati, si è abbattuto un evento di proporzioni immani per salute dei cittadini e per l’economia dell’Eurozona. Come ha reagito l’UE a questo tsunami? All’inizio in modo disordinato e confuso nonché tendenzialmente egoistico. Non possiamo dimenticare che il problema Covid 19 è stato inizialmente reputato un problema solo italiano. Le dichiarazioni della Von der Leyen e di Chrstine Lagarde nei confronti del nostro Paese ancora gridano vendetta. Poi, quando purtroppo ci si è resi conto che la pandemia non riguardava solo un paese, ma l’intera comunità, non vi è dubbio che la risposta comune è stata presente e potente. L’acquisizione di titoli di stato da parte della BCE, la sospensione del patto di stabilità e delle regole di bilancio hanno consentito agli stati nazionali di fare debito, derogando al fiscal compact, e consentire una prima serie di misure emergenziale, come i bonus e i sussidi. Logico che “l’helycopter money” non può essere una soluzione di lungo periodo, ma non vi è dubbio che è servito agli Stati per sopravvivere e ripartire. O quantomeno provarci. Quando i sussidi termineranno, i problemi strutturali saranno sempre lì. Ecco che quindi, è necessario che vengano poste in campo velocemente misure strutturali che diano sollievo all’economia europea che le consenta di crescere.

Come?

A ben vedere la pandemia può costituire veramente l’occasione per l’UE di ridisegnare se stessa, facendo tesoro degli errori del passato. Attualmente è necessario svincolarsi da ogni schema precostituito e manifestare una certa flessibilità e duttilità di intervento. La cronaca di questi giorni ci consegna un quadro instabile tutt’altro che chiaro. L’emergenza sanitaria non è finita né in via di definizione.  I vaccini tardano ad arrivare e si profila un contenzioso con  alcune case farmaceutiche che si stanno rendendo inadempienti rispetto alle obbligazioni contrattuali assunte. Occorrerà essere molto attenti e non far calare mai l’attenzione.

Tuttavia, pur nella loro incertezza, alcune cose possiamo già iniziare a dirle. Niente sarà come prima. In campo economico, alcune imprese cesseranno di esistere se non sapranno innovarsi se non riusciranno a superare i gap che ancora prima del Covid gli impedivano di essere competitive sul mercato globale. Il blocco dei licenziamenti prima o poi avrà fine con le ovvie conseguenze. Ebbene,  gli strumenti dei singoli Stati nazionali potrebbero non essere sufficienti a contenere gli effetti sociali della ripartenza.

L’UE può e deve diventare quindi motore di una ripresa che sappia far fronte a tali problematiche, sapendosi adattare all’inevitabile cambiamento che tutto ciò porterà nel breve-medio periodo.  Ma il far fronte alle nuove circostanze, non può e non deve far perdere di vista i principi fondamentali su cui l’Unione è stata costituita. La riforma di alcuni meccanismi si rende necessaria nel quadro una sostanziale compatibilità con i principi fondativi. Occorre quindi recuperare quello spazio visionario dei padri costituenti per declinare nel concreto una visione grande di futuro europeo. Oggi i leader dei governi dell’Unione sembrano godere di una discrezionalità più ampia dei predecessori, ma al contempo, essere nel complesso meno preparati e attenti più al risultato immediato del prossimo impegno elettorale che non a una visione di ampio respiro. Il debito, vera spina nel fianco dei bilanci nazionali, non potrà essere più assoggettato a schermi rigidi di austerity, anche se ciò non significa giustificare in eterno gli scostamenti. Occorre riprendere la distinzione recentemente tracciata fra debito buono e debito cattivo. Cioè debito per gli investimenti sostenibili e debito per spese improduttive.

Logico che queste ultime dovranno essere tagliate recisamente e senza pietà.

Auspichiamo invece una crescita all’insegna di una vera e propria riqualificazione della spesa che sappia guardare alla tutela dell’ambiente come spazio di vita comune e opportunità per tutte cittadini e imprese che dovranno riconvertire la propria produzione tenendo conto dei costi ambientali. Una crescita che implementi un’economia fondata sul rispetto della persona. Mentre  le mance elettorali e i sussidi a pioggia o il mantenimento di aree di privilegio,  eccesso di burocrazia, non potranno esser più tollerati. Tema che dovrà essere ridisegnato in modo sostanziale anche in Italia è quello della sanità. L’emergenza Covid ha fatto capire come la gestione decentralizzata della stessa si presta a numerose critiche ed è stata fonte di intollerabili lungaggini e mancato coordinamento.

Ma il tema reale, quello dove veramente andranno investite tutte le risorse possibili, è l’istruzione e la formazione dei giovani. La categoria più sacrificata dalla pandemia non solo in termini contingenti ma anche di previsione per il futuro. I giovani sono coloro i quali dovranno pagare il debito che oggi siamo costretti a fare per poter sopravvivere come comunità umana. È con i giovani che stiamo contraendo un debito morale che dobbiamo pagare. Come? Mettendo a loro disposizione nel tempo quegli strumenti per poter vivere bene e in società migliori delle nostre.

Ecco che l’UE, anzi meglio la politica europea, anzi, meglio ancora, la Politica non può più ridursi a mero teatrino come avvenuto in Italia negli ultimi due mesi. Ecco che essa deve recuperare il suo ruolo fondamentale di costruttrice di cattedrali. Di sguardo visionario verso il futuro e di essere architetto del futuro. Ma perché – sempre per usare le parole di Mario Draghi – “la costruzione del futuro, perché le sue fondamenta non poggino sulla sabbia, non può che vedere coinvolta tutta la società che deve riconoscersi nelle scelte fatte perché non siano in futuro facilmente reversibili”. Il coinvolgimento di tutti in questa affermazione collettiva di valori e strategia deve essere il faro di un nuovo patriottismo europeo. E’ venuto il momento di smetterla con le divisioni e distinzioni di basso cabotaggio, con nazionalismi sterili che pure permangono anche in questa fase, ma bisogna ritrovare la visione comune del futuro dell’Italia e dell’Europa che vogliamo costruire. L’Ue Europea può uscire rafforzata da questa terribile prova, attraverso l’utilizzo di strumenti nuovi come quelli messi a disposizione dal Next Generation EU per unificare la propria politica di bilancio e per rafforzare le istituzioni comuni. Ma deve farlo declinando un valore che è mancato in questi decenni. E cioè, la solidarietà. La responsabilità deve essere coniugata con la solidarietà.

Concludo sempre con Draghi “Questo è tempo di incertezza, di ansia, ma anche di riflessione e di azione comune. La strada si ritrova certamente e non siamo soli nella sua ricerca. Dobbiamo essere vicini ai giovani investendo sulla loro preparazione. Solo allora, con la buona coscienza di chi assolve al proprio compito, potremo ricordare ai più giovani che il miglior modo per ritrovare la direzione del presente è disegnare il tuo futuro”.