di Francesco Rubera
La ricomparsa delle diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza di questo ventennio, fanno sorgere serie riflessioni in un periodo in cui è messa in dubbio l’idea stessa della solidarietà.
La giustizia distributiva passa attraverso un corretto sistema di progressività e, in questo periodo di crisi economica, gioca un ruolo fondamentale il ripristino dei principi costituzionali specie quello di capacità contributiva. Bisogna ripensare l’idea dell’uguaglianza tributaria in un momento in cui la capacità contributiva deve fare i conti con le garanzie dei minimi vitali di sussistenza. L’aumento della povertà e la forbice delle diseguaglianze, impongono di ricostruire un nuovo sistema fiscale meno incisivo, meno “oppressivo” in sede di esecuzione forzata tributaria e più aperto alla soluzione delle problematiche legate alla crisi economica mondiale. Secondo l’Unione Europea, l’Italia è il secondo paese in Europa quanto a diseguaglianze e a distribuzione dei redditi e della ricchezza, ove il divario tra le generazioni è sempre più accentuato: “giovani sempre meno garantiti e sempre più poveri, e anziani più garantiti sia dal sistema pensionistico e di welfare oltre che dalla ricchezza accumulata durante la vita lavorativa”.
Il sistema pensionistico necessita dell’utilizzo di parte delle entrate fiscali per essere sostenuto, la contribuzione della popolazione lavorativa non è più sufficiente in una nazione con i cittadini invecchiano sempre di più. In questo contesto, lo Stato per garantire i propri cittadini, deve ricorrere necessariamente al fisco, ma non potendo gestire autonomamente il proprio sistema pensionistico, in un paese già fortemente indebitato e che fa parte di un’entità sovranazionale a cui ha ceduto la sovranità monetaria, deve fare i conti con la quantità delle prestazioni pensionistiche erogate e ricorrere ad una riduzione degli assegni pensionistici in favore dei pensionati futuri al fine di equilibrare il sistema, oppure ricorrere all’aumento dell’età pensionabile.
La liberalizzazione mondiale dei mercati dei capitali e dei prodotti finanziari, la c.d. finanziarizzazione dell’economia ha accelerato lo spostamento della ricchezza dai ceti medi e dalle classi popolari, verso una cerchia sempre più ristretta di nuovi ricchi. Si stima che in Italia, il 10% della popolazione detenga il 50% della ricchezza nazionale, mentre il restante 90% sopravvive con il 50% della ricchezza restante. Ossia, accanto ad una minoranza di italiani ricchi, sempre più ricchi, esiste una maggioranza di italiani che sopravvive di stenti, di famiglie che non giungono a metà mese che sono sempre più costrette a ricorrere all’indebitamento per garantirsi il minimo vitale di sussistenza.
In questo sistema, il fisco dovrebbe essere una valvola di sicurezza per tentare un ripristino dell’equità. E’ opinione comune che l’assenza di una vera e propria unione federale, causata dall’inesistenza di una Europa politica, dopo la bocciatura dei referendum francese e olandese sulla costituzione europea non abbia consentito una seria e uniforme politica fiscale in tutti i paesi membri, creando squilibri strutturali nella zona Euro, con accentuazione e concentrazione della ricchezza dai paesi più poveri, gravati da un eccesso di pressione fiscale a causa dell’indebitamento, verso i paesi più ricchi con redditi meno tassati.
La gravità dell’attuale situazione, non trova sbocchi nel breve termine con una semplice riforma fiscale. Ma necessita di più, nell’attuale costituzione vivente va ripensato il sistema fiscale nella sua interezza e il ruolo dell’imposizione fiscale secondo un modello di redistribuzione della ricchezza più equamente inteso, al fine di garantire una giusta ripartizione delle risorse. Uno stato che non garantisce i minimi vitali, in cui il potere d’acquisto di stipendi e salari è ridotto al minimo, mentre la pressione fiscale ( tra fisco nazionale e fiscalità locale) incide quasi al 50% sui redditi dei cittadini e delle partite IVA, viola costantemente il principio di capacità contributiva, crea gli ostacoli di ordine economico e sociale, anzichè rimuoverli.
Credo che oggi, l’eccessiva pressione fiscale in uno Stato che è sempre più invasivo meno garante dell’iniziativa privata, sempre meno fautore dell’impresa produttiva e della produttività delle partite IVA, ma sempre meno sociale e proteso a finanziare spese assistenziali e improduttive, in cui la pressione fiscale è elevatissima poichè le entrate servono a pagare gli interessi del debito pubblico, rappresenti non solo una contraddizione in termini verso un modello di sviluppo possibile, ma un nodo gordiano per l’economia e per i cittadini stretti in una morsa che ha impoverito il ceto medio sino a spingerlo verso l’indebitamento per sopravvivere.
Quindi, occorre che la politica fiscale riparta dall’etica dell’uguaglianza non formale, ma sostanziale che incentivi l’impresa produttiva e disincentivi la spesa assistenzialistica. In cui il ruolo centrale debba giocarlo una economia interventista, verso un modello di sistema fiscale che anche in fase di esecuzione forzata, metta in evidenza le reali criticità economiche dei contribuenti e le dinamiche dei loro rapporti, per creare un giusto equilibrio tra gli attori del sistema (imprese e famiglie). In questo panorama, viene in rilievo l’interconnessione dal lato passivo dell’analisi delle situazioni debitorie osservando l’intera posizione del soggetto indebitato sia avuto riguardo ai debiti bancari che ai debiti fiscali.
Anche quì, la CEDU ha sancito il principio di proporzionalità. La legislazione della riscossione coattiva, negli ultimi anni, si è ispirata a questo principio, introducendo alcune modifiche “favor debitoris”. A livello Europeo, il principio di proporzionalità, derivante dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ha messo in evidenza l’esigenza di tutela del contribuente- debitore, e la salvaguardia del suo patrimonio. Secondo l’art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU; “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”, nel secondo periodo è sancito che la compressione del diritto di proprietà potrà avvenire solo per “cause di pubblica utilità nelle condizioni previste dalla legge o dai principi generali di diritto internazionale”.
Tra i motivi o cause di pubblica utilità, viene aggiunto al secondo paragrafo che “ogni Stato può comprimere il diritto di proprietà …in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”. La Corte di Strasburgo ha sempre lasciato ampia discrezionalità agli Stati membri, riguardo alla loro politica di esazione fiscale, tuttavia in tema di privazione dei diritti di proprietà il criterio della Corte si è ispirato al principio della proporzionalità ossia alla giusta dose di equità o di equilibrio nel dosare l’esecuzione tenendo conto delle contrapposte esigenze tra l’interesse generale e la salvaguardia del diritto fondamentale dell’individuo, in un rapporto paritario e non più di supremazia dello Stato sovrano.
Con la nascita dell’Euro e la cessione della sovranità monetaria, scompare pure la Banca d’Italia in relazione alle funzioni di gestione dei titoli del debito pubblico, lo stato nazionale non può più far ricorso al debito pubblico di propria iniziativa ed inizia l’epoca dell’austerità che colpisce i paesi dell’Euro più indebitati. Il problema è che all’Unione monetaria avrebbe dovuto seguire una vera e propria unione politica, proprio per ridurre gli effetti del rigore, ma la bocciatura della Costituzione Europea con i referendum nazionali (quello francese in primis) hanno impedito che alla cessione della sovranità monetaria seguisse la nascita di una Europa politica di Stati Federali con un Parlamento che avesse funzioni legislative e gestionali della politica economica secondo solidarietà e senza austerità. L’Europa monetaria incapace di avere una propria costituzione, ha spinto sino al punto di mettere in discussione le costituzioni nazionali di stampo pluralista-democratico, nate nel secondo dopoguerra, per rendere più forti i poteri forti dell’economia rispetto agli esecutivi nazionali che nelle scelte monetarie, spesso anche dolorose, non possono più decidere.
Il resto è storia recente.
Questa breve analisi servirà a farci comprendere un dato: ” mentre da un lato il ceto medio fatto di artigiani, imprenditori e professionisti oltre che di lavoratori dipendenti, ha vissuto l’infelice aumento della tassazione, e i dipendenti persino il blocco delle contrattazioni di lavoro, dall’altro lato migliaia di italiani specie giovani e scoraggiati, si sono trasferiti all’estero”. Pertanto, giocoforza il fisco nazionale, nell’era della globalizzazione inizia ad assumere un ruolo sempre di più centrale nella scelta delle localizzazioni delle attività produttive.
Le imprese si spostano non solo ove il costo del lavoro è più basso, ma ove è garantita una maggiore pace fiscale. Questo impoverimento del tessuto produttivo ha ancora di più creato le sacche dei nuovi poveri, sino a raggiungere oggi i livelli mai visti prima. Si stima che un cittadino su quattro viva sotto la soglia di povertà. Si tratta di piccoli imprenditori, artigiani costretti a chiudere, impiegati e operai che perdono il lavoro, disoccupati rimasti senza lavoro over 50. E’ questo l’identikit del nuovo povero. Si tratta di un ceto medio che esce provato da questa crisi, e anzichè essere aiutato dallo Stato, subisce il colpo di grazia con l’aumento della pressione fiscale al 48%. Se analizziamo il dato dell’aumento della povertà ( si stima che un Italiano su 4 nel 2017 sia ridotto in condizioni di povertà) e l’eccesso di pressione fiscale, a fronte di un quarto della popolazione che non raggiunge i minimi vitali di sostentamento, ci si rende conto, non solo che il principio di capacità contributiva e l’equità fiscale siano diventati una lettera morta, ma che aumentano i piccoli evasori giornalieri per difendersi da uno stato definito “predatore”. Si tratta di quelli dello scontrino o quelli che concorrono nell’evasione altrui, ad es. i pazienti del dentista che non si fanno rilasciare alcuna ricevuta per usufruire dello sconto del 30% sul costo della prestazione ricevuta.
Il premio Nobel per l’economia Milton Friedman ha sostenuto una verità triste per la nostra nazione: “se l’Italia si regge ancora è grazie al mercato nero e all’evasione fiscale che sono in grado di sottrarre ricchezze alla macchina parassitaria ed improduttiva dello Stato per indirizzarle invece verso attività produttive”. Quindi, secondo questo autorevole studioso, in Italia la domanda regge ancora, paradossalmente “grazie” all’evasione fiscale, atteso che il denaro che finisce nelle casse dello Stato non genera alcun valore aggiunto. Quindi, non solo in tale contesto i cittadini sono vessati dal fisco con aliquote troppo elevate, ma non usufruiscono di alcun giovamento della spesa pubblica che è sempre più limitata, a dimostrazione che, a parte gli sprechi del denaro pubblico in fenomeni corruttivi e collusivi, come ci insegnano i fatti di cronaca giudiziaria, è drammatico il quadro di riferimento, ossia che il danaro pubblico venga principalmente utilizzato per coprire il debito pubblico.