di Alessandro Cini
Una donna sola al comando, la sua fascia è tricolore: il suo nome è Virginia Raggi. Sul Monte Capitolino, più conosciuto come il Colle Campidoglio, la sindaca uscente del M5S era stata l’unica, nel panorama politico nazionale e locale, a inforcare la bicicletta e a pedalare, confermando con largo anticipo la sua intenzione di ricandidarsi alla guida di Roma. Non che il Campidoglio sia esattamente come i passi Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere, quelli che hanno visto le gambe di Fausto Coppi girare come motori diesel nella Cuneo-Pinerolo del Giro d’Italia del 1949, ma certo è che Raggi, pur non vantando un certificato di nascita in quel di Castellania, un segnale forte e chiaro lo ha mandato al suo partito, ai suoi elettori e agli altri eventuali candidati.
Già: gli “eventuali” candidati.
In un frangente della storia patria in cui la politica, quella fatta di incontri, confronti, progetti e dibattiti, è praticamente scomparsa dall’orizzonte mediatico, dobbiamo rendere merito al coraggio dell’avvocata romana di aver saputo sfidare tutti su un terreno impervio, accendendo i riflettori su una città che vive perennemente sospesa tra i problemi della periferia e del centro, tra il “vorrei tanto” e il “ma non posso”. Appaltato sine die l’approfondimento politico ai nuovi specialisti del Covid-19, a ben guardare ciò che resta è davvero ben poca cosa, cioè a Enti locali e personaggi che “fanno cose”. Regioni che aprono o chiudono, Comuni che inaspriscono, virologi, immunologi, epidemiologi ed esperti di temibili zanzare tropicali che si affrontano in singolar tenzone.
Malgrado la situazione, quel che invece continuiamo a non trovare affatto coraggioso è il balbettante e pavido atteggiamento di tanti nomi altisonanti del panorama politico italiano che, invitati più o meno ufficialmente a fornire la propria disponibilità per un’eventuale candidatura a sindaco di Roma, hanno risposto con un fuoco di fila di “no”, creando un’imbarazzante catasta di dinieghi monumentale come lo stesso Palazzo Senatorio capitolino.
Intanto nel corso del fine settimana, come un concorrente uscito da una puntata di “Lascia e raddoppia?” del 1955, Carlo Calenda ha definitivamente sciolto le riserve sulla propria candidatura a sindaco per la “rive gauche” del Tevere. Accolto via video a “Che tempo che fa”, salottino bello, buono e intelligente di RaiTre arredato dall’accorto interior designer Fabio Fazio, il leader di Azione ha risposto alla fatidica domanda – Lascia o raddoppia? -, con un “sì” stentoreo che sembra aver generato più domande che risposte in casa PD.
A destra la situazione è grave, ma non seria. Dopo le risposte negative di Fabio Rampelli e Giulia Bongiorno, Antonio Tajani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini stanno cercando in queste ore la quadratura del cerchio, che potrebbe essere trovata intorno al nome dell’ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso. Massimo Giletti a Vittorio Sgarbi permettendo.