Nessuna solidarietà a un uomo che, ricoprendo uno tra i più alti incarichi istituzionali quando era ministro, vorrebbe far passare come gesto eroico la persecuzione di poveri cristi, degli ultimi della terra abbandonati in mare in barba non solo alle regole della convivenza civile ma anche dell’umana pietà.
È inutile che Matteo Salvini si autoproclami vittima della Magistratura e che per farlo chiami a sua difesa le ragioni del popolo italiano, in difesa del quale avrebbe agito. È inutile che continui a dire che col suo operato ha difeso i confini italiani, perché la nave “Gregoretti” è un’imbarcazione della Guardia Costiera italiana – quindi per il diritto internazionale territorio nazionale italiano – e non ha violato nessuna norma portando in salvo centinaia di anime disgraziate.
La pianti, pertanto, Matteo Salvini di spettacolarizzare il processo a cui sarà sottoposto dal 3 ottobre. Di rendere un circo quello che altro non è che un passaggio dovuto in uno Stato di diritto. La pianti di inveire contro i giudici chiamati ad appurare le sue responsabilità, considerando che fu per suo ordine, in qualità di ministro dell’Interno, che nel luglio 2019 la nave Gregoretti venne bloccata.
Troppo comodo parlare di certezza della pena quando il leader della Lega è il primo a non volersi far giudicare. Salvini non è, e non era neanche quando faceva il ministro, al di sopra della legge, se lo ficchi bene in testa. I processi si vincono e si perdono in tribunale: si faccia processare e dimostri la sua estraneità ai fatti contestati. E la smetta di sputare veleno sulla Magistratura
Filippo Rossi